La proposta di Luca Cordero di Montezemolo di un’imposta patrimoniale su Il Corriere della Sera aggiunge l’imprenditore al club dei neodirigisti italiani che vorrebbero combattere la crisi della finanza dovuta alla carenza di risparmio e all’eccesso di debiti, tassando il capitale privato, per ridurre il debito pubblico: una sorta di rapina all’alveare del risparmio privato, virtù italiana in declino. Ciò per lo scopo falsamente sociale di distribuire equamente i sacrifici, concependo il fisco come una variabile indipendente dalle regole economiche del mercato, a cui siamo vincolati, da quando siamo entrati (con il voto del governo Prodi) nell’Unione monetaria europea.
La proposta di Montezemolo, per la verità, ha l’apparenza di una montagna che partorisce un topolino. Infatti, lui propone puramente di sostituire la cosiddetta «tassa sui ricchi» di durata triennale che - come giustamente osserva - colpisce soprattutto il ceto medio, con un tributo patrimoniale equivalente il quale, secondo lui, non ricadrebbe su tali ceti medi, ma sui «veri ricchi».
Se nonché tale mini-patrimoniale colpirebbe anch’essa prevalentemente i ceti medi, e sarebbe doppiamente iniqua ed economicamente sbagliata, in quanto li tasserebbe non sul reddito, ma sul risparmio, punendo coloro che hanno mostrato maggior senso di responsabilità, comprandosi la casa e costituendosi un capitale proprio. Che non è «sterco del demonio», ma base dello sviluppo della famiglia e dell’economia che per crescere ha bisogno di investimento, basato sul capitale. Aggiungo, comunque, che la proposta di Montezemolo appartiene, nella sua vaghezza, alla categoria del dilettantismo tributario.
Dice, infatti, che si dovrebbero tassare i ricchi sui patrimoni da 5-10 milioni di euro in su. Che cosa costituisca patrimonio non lo definisce, ma la cosa è di non poco conto. Infatti ci sono beni immobili al sole, che con una valutazione arbitraria, al di fuori delle stime catastali, possono valere facilmente 5 milioni di euro. Poi ci sono possessi di titoli la cui valutazione è quanto mai fluttuante, dati i corsi alti e bassi del mercato. Ci sono proprietà di imprese non quotate sul mercato che possono avere un basso patrimonio netto e un alto patrimonio lordo di debiti, e un basso patrimonio fisico, ma un lato patrimonio immateriale nonché un alto patrimonio e un basso reddito. E ci sono oggetti preziosi e di antiquariato (dipinti, imbarcazioni da diporto, eccetera) intestati al possessore vero o a entità varie o a nessuno. Esistono patrimoni all’estero, e fughe all’estero (a Lugano e nel Lussemburgo) di patrimoni che a ogni nuovo annuncio del genere aumentano. I 5 milioni di capitale si raggiungono facilmente se tutto è intestato al capo famiglia, non altrettanto se sono distribuiti nel nucleo familiare.
Una parte di queste difficoltà sussistono anche con il tributo straordinario sul reddito da 90 mila euro in su. Ma almeno in questo caso c’è una base oggettiva nella dichiarazione dei redditi e nel fatto che il reddito in moneta è un oggetto, mentre il valore del patrimonio è un concetto che il fisco può interpretare a piacere.
In termini tecnici un’imposta che vale solo un miliardo per tre anni ha senso fiscale solo se la sua base imponibile esiste già ed è già accertata, non se si deve impegnare l’amministrazione tributaria a determinarla, sulla base di apposite circolari e addestramento del personale e relativo contenzioso. Si tasserebbero le gestioni di titoli presso le banche, già colpiti con la cedolare secca che passa dal 12,5 al 20% e si includerebbe nei patrimoni tassabili anche il possesso di debito pubblico?
È paradossale pretendere di risolvere i problemi del debito pubblico tassando il risparmio nazionale che lo sorregge ed entrando nelle banche in cui questi soldi sono depositati. L’unico merito apparente della proposta di Montezemolo è che è una microproposta di un miliardo per tre anni. Ma è un merito apparente, che cela un’insidia. La mini-patrimoniale costituirebbe un precedente pericoloso.
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