Montezemolo in politica? Bersani lo corteggia già

Ennesima esternazione del presidente Ferrari: "Non possiamo più tenere l’Italia ferma ai box, cresce la tentazione di scendere in pista". E Bersani già lo corteggia: "Alla buon’ora, ma serve un appuntamento elettorale...". Sarà il Papa Nero

Montezemolo in politica?
Bersani lo corteggia già

Roma Una voglia matta, nascosta ancora un po’ dietro il desiderio di essere chiamato, invocato, accolto magari come «salvatore della Patria». Perché «monetine e insulti non servono a nulla», e si rischia «il punto di non ritorno». Una voglia matta che si articola con il giudizio più severo nei confronti di una classe politica («ha fallito») e dell’intera parabola della Seconda Repubblica («un disastro che peggiora di giorno in giorno»).
A Luca Cordero di Montezemolo forse piacerà vincere facile, ed è ormai evidente come lo stop and go dei mesi scorsi oggi stia lasciando il posto al «semaforo giallo», quello che prelude alle partenze di Formula Uno. D’altronde lui stesso comincia ad ammettere di sentir «crescere la tentazione di scendere in campo» (ieri a Napoli) e addirittura - inequivoco segnale psicologico - di vedere «l’Italia come una Ferrari, una macchina straordinaria fatta per correre, per competere e per vincere, ma non possiamo più permetterci di tenerla ferma ai box per paura di una sconfitta, dobbiamo rimetterla in moto. Tutti insieme».
Vuole uscire dal box, il numero uno di Maranello, e le metafore automobilistiche si sprecheranno. Il presupposto della sua ripartenza è abbastanza scontato: sarò costretto a farlo, dice, perché «di fronte alle nostre proposte la risposta della politica è sempre la stessa, se vuoi parlare di politica devi entrare in politica. E se la situazione continua a peggiorare, se questo è lo spettacolo che offre la nostra classe politica, allora, cresce veramente la tentazione di prenderli in parola». Impietoso il quadro delineato: «Esiste una politica infetta che straborda ogni giorno su tutti i mezzi di informazione con polemiche incomprensibili per il 99 per cento dei cittadini e che, in questi giorni, ci ha deliziato con scene che sarebbero fuori posto in uno stadio, figuriamoci in un Parlamento. Dirlo non è fare antipolitica, ma chiamare le cose con il loro nome».
Come si noterà, anche il linguaggio non sembra più lasciare spazio a dubbi: l’ex leader di Confindustria è in pole. Ne conseguono schemi di ragionamento sempre più politici: un occhio al quadro internazionale, all’«inaccettabile esclusione dell’Italia dalle decisioni sul conflitto in Libia, quando siamo noi a pagare il prezzo più alto», un altro al cavallo di battaglia (già confindustriale) dell’«inesistenza di una politica economica». Non è soltanto l’azione dell’esecutivo nel mirino, in questo «inesorabile disfacimento». Esempio negativo è costituito dalla Lega, «nata per tagliare burocrazia e sprechi», ma che invece «difende a spada tratta la conservazione di ogni poltrona pubblica su cui può mettere le mani, a iniziare dalle province». E che dire del Pd? «Poteva rappresentare la nascita di una sinistra riformista e moderna, invece è dilaniato da dibattiti interni senza fine, tanto che spesso non siamo in grado di capire la sua posizione sui principali argomenti».


Insomma, il «Paese va ricostruito» e occorre una «leadership che dica la verità, che abbia il coraggio di decidere, di rianimare l’Italia». Intuibile il nome nella mente di Luca. Cui giunge il fin troppo tempestivo interesse di Bersani: «Alla buon’ora, ma serve un appuntamento elettorale...». Che speri ancora di ingaggiarlo come «Papa Nero»?

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