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Monti attacca la Merkel e difende Berlusconi: "Da lui sostegno importante"

In un'intervista a Le Figaro il premier chiede a Berlino più flessibilità per la crescita. E sul Cav: "Capisco il suo stato d’animo, non è stato disarcionato dal popolo"

Monti attacca la Merkel  e difende Berlusconi:  "Da lui sostegno importante"

Roma - Monti all’attacco di Frau Merkel. Della serie: il rischio è «troppo rigore per nulla». Il premier sa che l’approccio rigorista della cancelliera è necessario ma, se troppo rigido, può essere controproducente. Per il nostro Paese e per l’intera Europa. Perciò corre ai ripari. Nel proseguire i cosiddetti «compiti a casa» che dovrebbero portare al pareggio di bilancio - come garantito anche in un’intervista a Le Figaro dal titolo «L’Europa non deve più aver paura dell’Italia» - il Professore studia le mosse per i prossimi incontri internazionali. Appuntamenti ai quali il presidente del Consiglio illustrerà gli sforzi sui nostri conti pubblici e punterà tutto sulla crescita; italiana e di Eurolandia. Agenda fitta, visto che già domani Monti volerà a Parigi per incontrare il presidente francese Nicolas Sarkozy, mentre tra una settimana sarà la volta del faccia a faccia con la cancelliera Merkel a Berlino e quindi, il 18 gennaio, del summit con il premier britannico David Cameron. Infine, l’ultima settimana di gennaio, il trilaterale a Roma con Merkel e Sarkozy. Nell’intervista a Le Figaro la visione che esporrà pure ai leader: «I nostri fondamentali sono buoni e la crisi dell’economia reale è meno grave che negli altri Paesi».

In stile Berlusconi. Una graffiata al Cavaliere, tuttavia, il premier la dà: «Il governo precedente non ha voluto ammettere la grave carenza in materia di crescita e la mancanza nelle politiche di liberalizzazioni». Tuttavia Monti attribuisce a Berlusconi alcuni meriti: «Riconosco in lui un sostegno considerevole - risponde alla domanda sul rischio che il Pdl faccia cadere il governo - bisogna comprendere il suo stato d’animo: ha vinto tre elezioni democratiche, ha governato nove anni e ha accettato il cambiamento senza essere disarcionato né dagli elettori né dal suo partito». E ancora: «Il mio governo può cadere domani mattina. Non sono tuttavia sicuro che i partiti prenderanno a cuor leggero la decisione di togliermi la fiducia». Fiducia che, nella popolazione, resta sopra il 50% e che, dice Monti «dovrebbe essere vicina allo zero visti i sacrifici che ho chiesto agli italiani». Tuttavia, riconosce Monti, «gli italiani hanno accettato con flemma britannica le misure imposte, dando prova di un senso di responsabilità ammirevole: hanno fatto soltanto tre ore di sciopero». Poi l’affondo all’asse Merkozy: «L’armonia franco-tedesca è condizione necessaria per il buon funzionamento dell’Europa ma non è sufficiente. Due Paesi su 27 non possono decidere per tutti gli altri».

Si parte dall’accordo «monco» dello scorso 9 dicembre quando, con il «no» di Londra, Eurolandia ha deciso di sottoscrivere il cosiddetto «fiscal compact»: patto secondo il quale tutti i Paesi dovranno tenere i bilanci in ordine, pena la sanzione di perdere il diritto di voto nel Consiglio Ue. Punto fondamentale è il cosiddetto «deficit strutturale» che viene limitato allo 0,5% del Pil e in pratica si traduce in iper-rigore. Visione teutonica uscita vincente dal summit del 9 dicembre che però non soddisfa tutti. Il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero, al Giornale riconosce che «In questo momento gli incontri bilaterali sono di fondamentale importanza nell’attesa del Consiglio europeo del 30 gennaio». Incontri nei quali «si fa il possibile per far comprendere le posizioni italiane ma si fa pure il massimo sforzo per comprendere le ragioni dei nostri partner».

Lungi dal riconoscere che il governo sbatterà i pugni sui tavoli internazionali, di fatto questo farà Monti, giocando tre carte: «più flessibilità», «più Ue» e «più crescita». Per quanto riguarda il primo punto, il premier sosterrà che i nuovi accordi devono tener conto del «six pack», ossia di una maggiore flessibilità nel considerare il debito pubblico. Il quale va ridotto, d’accordo; ma facendolo bisogna tenere conto della congiuntura economica e di altri fattori. Il terrore di Monti è che un’applicazione troppo rigida del patto ci obblighi ad approvare norme correttive da 45 miliardi l’anno per vent’anni. Il che vuol dire strozzare definitivamente l’economia e uccidere un Paese dai fondamentali sani. L’altro tasto su cui il premier pigerà è quello «istituzionale». Europeista fino al midollo, Monti cercherà di riportare le visioni strategiche dell’Europa nell’ambito delle istituzioni europee, cercando di scardinare l’asse franco-tedesco. Se si decide il futuro di Eurolandia - è il faro di Monti - lo si deve fare nell’ambito della Commissione e del Consiglio Ue. E in questo senso fondamentale è la visita a Sarkozy il quale, alla guida di un Paese dai conti non così solidi come la Germania, potrebbe avvicinarsi alle posizioni italiane.

Terza e ultima carta, strettamente legata alle prime due, quella della «crescita». Il rigore senza crescita non serve. Ecco perché tornerà prepotentemente in auge il tema degli eurobonds, fumo negli occhi per la Merkel ma toccasana per lo sviluppo dell’intera Europa. E su questo terreno Monti spera di trovare la sponda sia di Madrid sia di Londra, quanto meno nella versione dei «project bond», fondi legati a progetti (strade, ponti, ferrovie, reti energetiche, banda larga, ecc.

), ipotizzati di recente anche da Barroso.

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