Dal nostro inviato a Bruxelles
Monti atterra oggi in una Bruxelles semiparalizzata per lo sciopero generale: la cinghia tirata a più non posso fa male anche ai belgi. Mezzi pubblici bloccati, tassisti in rivolta, negozi semichiusi. Tutto il mondo è paese. In programma nella capitale belga, oltre ai cortei antirigore, il vertice dei capi di Stato e di governo per siglare l’accordo sul fiscal compact, le nuove regole Ue sulla disciplina di bilancio. Prima del summit, un faccia a faccia tra il presidente Sarkozy, la cancelliera Merkel e il premier italiano Monti: mezz’ora di colloquio fitto fitto e poi si aprirà l’arena. Più o meno tutti contro tutti.
L’accordo si farà ma il timore è che l’esito dell’eurosummit non sia una svolta ma una svoltina. Se sarà effettivamente così lo diranno i mercati, poco interessati alle vittorie politiche dei singoli Stati ma molto più attenti al futuro dell’euro. La verità è che il default greco non è e non sarà scongiurato al termine della giornata di oggi. Atene resta sul ciglio del baratro e, anzi, all’ombra del Partenone la situazione si aggrava. In ballo c’è un programma di salvataggio da 130 miliardi di euro e non è detto che la somma basti. In più Berlino, a fronte di un ulteriore salvagente per i greci, ha fatto la voce grossa. Di fatto ha chiesto che Atene ceda gran parte della propria capacità decisionale su spesa pubblica e tasse a un commissario nominato dai ministri finanziari degli altri Paesi Ue. In pratica un commissariamento. Non solo: questa ipotesi varrebbe anche nei confronti di tutti quei Paesi che si dimostrassero incapaci di rispettare le nuove regole sui bilanci pubblici. Insomma, una perdita di sovranità senza precedenti. La Commissione europea s’è affrettata a smentire l’ipotesi ma il monitoraggio nei confronti di Atene si farà più stretto. E la possibilità che la Grecia salti in aria ed esca dall’euro è tutt’ora in campo. Da Bruxelles si fa sapere però che la questione non sarà in cima all’agenda dell’eurovertice perché oggi si deve, in sostanza, accontentare la Germania. La Merkel e i Paesi virtuosi devono portare a casa il trattato che chiedono da tempo: bastone per chi non ha i conti a posto. E questo sarà. L’accordo raggiunto durante il precedente eurovertice del 9 dicembre, con la pesante defezione della Gran Bretagna, ha già stabilito che scatteranno sanzioni per chi non rientra dal debito. Ma il fronte rigorista, che oggi verrà accontentato, resta compatto nel frenare su un rafforzamento dei cosiddetti firewalls. Sul tavolo l’aumento del fondo salva Stati da 500 a 1.000 miliardi, su cui i tedeschi continuano ad arricciare il naso. La cancelliera non vuole far scucire un solo euro in più tedeschi per proteggere i cosiddetti «Stati maiali». Così, anche su questo tema, c’è il rischio che si decida di non decidere visto che ieri proprio la Merkel ha glissato sulla questione: «Stiamo ancora discutendo se pagare il nostro contributo in una o due tranche -. E in ogni caso il nostro deficit non aumenterà perché il denaro sarà solo trasferito dal bilancio federale all’Esm».
Insomma, Berlino non si piega e non vorrebbe affrontare neppure la questione oggi. Al di là della potenza di fuoco anti contagio, poi, restano le perplessità sul «come» dovrebbe attivarsi il fondo. Chi decide se e come intervenire? Sulla carta, la Banca centrale europea ma nel patto c'è scritto «in base al mutuo consenso degli Stati». Formula ambigua perché, per esempio, se la Germania non volesse intervenire? La Grecia oggi (e domani chissà chi) si troverebbe sempre sotto scacco da parte del più forte, refrattario a lanciare il salvagente. Ma non c’è soltanto la Germania a preoccupare Monti e gli altri partners Ue. Oggi rischia di venire al pettine anche il nodo della Polonia, indecisa se firmare il fiscal compact.
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