Il senso del messaggio è chiaro. L’anno parlamentare inizierà con una novità di non poco conto: il professor Monti vuole rompere la lunga consuetudine assenteista dei premier che si sono succeduti e sarà lui, in carne ed ossa, a rispondere al primo question time del 2012 nell’aula di Montecitorio, il prossimo 11 gennaio.
Non succedeva da tempo immemorabile, e non è solo un segno di discontinuità con Silvio Berlusconi (che in tutte le sue vite da premier si è sempre risparmiato i question time), un po’ come il morigeratissimo Capodanno in ufficio - palazzo Chigi - e con tanto di famiglia al completo, e ieri passeggiata a San Pietro. È soprattutto un gesto simbolico di attenzione verso il parlamento e verso i partiti azionisti della sua maggioranza; un segnale di disponibilità verso quei bizzosi e contraddittori interlocutori che devono garantire nei prossimi mesi la navigazione del governo in un mare alquanto tempestoso.
Una maggioranza che di diventare politica non ne vuol sapere. E che mette insieme opposti inconciliabili: per dire, dal Pd Stefano Fassina che anche la notte di San Silvestro ha ribadito che chi tocca l’articolo 18 muore, e che va a braccetto con la Camusso; e l’ex ministro Pdl Maurizio Sacconi che vorrebbe cancellare dalla faccia della terra non solo l’articolo 18 ma pure la Cgil. Due maggioranze, in pratica: e per varare i provvedimenti della «fase 2» il Professore dovrà barcamenarsi tra di loro. Chi conosce bene Monti, per averci lavorato insieme ai tempi di Bruxelles, spiega che il premier è vaccinato dalla lunga esperienza al governo Ue, dove doveva mettere d’accordo ogni volta due schieramenti opposti (quello socialista e quello conservatore) e ben più strutturati e forti di quelli nostrani. «Il suo metodo, nel mandare avanti le direttive che lo interessavano da commissario, era quello di mettere insieme ogni volta una cosa che piaceva alla destra e scontentava la sinistra, con una che piaceva a sinistra e scontentava la destra. Lo farà anche ora», spiega il parlamentare Pd Sandro Gozi. Dal 9 gennaio, quando partirà il confronto con i partiti sulle misure «Cresci Italia», si vedrà come il Professore riuscirà a gratificare la sinistra varando quel piano di liberalizzazioni anti-oligopoli che il Pd invoca come «urgenti» (e che il Pdl contrasta e tenta di impedire) e come riuscirà a blandire la destra con la riforma del lavoro e il ridimensionamento dei sindacati che la sinistra teme.
Monti sa bene che, nonostante le sparate propagandistiche da una parte e dall’altra, nessuno può permettersi nei prossimi mesi di staccare la spina al suo governo. Non può il Pdl di Berlusconi, che non potrebbe contare su alleati alle future elezioni, e rischierebbe il bagno: la Lega è persa, e Casini non andrebbe mai con chi fa cadere Monti. E tantomeno può il Pd. «I partiti sanno benissimo che chiunque si prenda la responsabilità di affondarci rischia di restare sotto le macerie», sottolinea un ministro del nuovo governo.
Ma per varare riforme della portata necessaria (ed annunciata dal governo) serve quello che il sottosegretario ai rapporti col Parlamento Giampaolo D’Andrea definisce «un consenso stabile e più ampio possibile», perché «vogliamo assolutamente evitare di navigare a vista». Con due maggioranze da tenere insieme, non sarà facile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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