Monti va per la sua strada: ora vuole riformare il lavoro

Mentre i partiti trattano sulle pensioni, Monti ha già fissato il nuovo obiettivo: cambiare il welfare sul modello di quello danese in cui più si licenzia, più si riassume

Monti va per la sua strada:  ora vuole riformare il lavoro

Roma - Monti licenzia Camusso & Co. Ed è solo il primo round. L’ultimo vertice governo-sindacati di domenica sera è finito con una fumata nera. Sul tavolo c’erano le proposte di modifica della manovra ma il premier è stato irremovibile: accetterò solo dei ritocchi ma l’impianto deve restare quello e non basta proporre correzioni che mantengono saldi invariati. Monti ha piantato un paletto nel cemento armato: non si deve e non si può cambiare l’unica riforma strutturale presente nel provvedimento, ossia quello che riguarda il sistema pensionistico. Da qui è arrivato il richiamo alle barricate di Cgil, Cisl e Uil (assieme all’Ugl) che, dopo anni, hanno ritrovato l’unità «anti-tecnici». Risultato: scioperi a raffica. Già ieri c’è stato uno stop di tre ore a fine turno, ma in futuro sarà peggio, come ha minacciato la leader della Cgil, Susanna Camusso: «Non è detto che sia finita e che lo sciopero di oggi (ieri, ndr) sia l’unico». In pratica i sindacati avevano chiesto alleggerimenti sulle misure previdenziali e l’Imu, suggerendo invece una patrimoniale. Ma il premier è stato inflessibile, sostenendo che la patrimoniale non è una riforma strutturale. Insomma, in vista ci sono altri scioperi, cortei e serrate.

Monti tuttavia non si fa certo intimidire e tira dritto per la sua strada, di fatto schiaffeggiando Camusso e soci. Ma siamo solo all’inizio. La seconda razione è in arrivo a breve, quando l’esecutivo comincerà a costruire il secondo pilastro della grande riforma strutturale che non possiamo più rimandare: quella del mercato del lavoro. E da qui arriveranno altre sberle ai sindacati, sebbene il premier nelle scorse settimane abbia assicurato che «nel settore del lavoro la concertazione è essenziale». Tuttavia il ministro del Welfare Elsa Fornero ha già anticipato durante la sua audizione in commissione Lavoro alla Camera, senza però entrare nel dettaglio, quali siano i capitoli a cui il governo intende metter mano: ammortizzatori sociali, contratti atipici e flessibilità. Se ne saprà qualcosa di più oggi quando, alle 10.30, la Fornero sarà nuovamente davanti ai deputati in Commissione.

Pur senza nominarlo mai, uno dei nodi maggiori riguarderà l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La norma prevede che il licenziamento sia valido solo se avviene per giusta causa e, in assenza di questi presupposti, il giudice dichiara l’illegittimità dell’atto e ordina il reintegro nel posto di lavoro. Nelle aziende che hanno meno di 15 dipendenti, invece, il datore di lavoro può scegliere tra la riassunzione e il risarcimento.

L’articolo 18 è un vero proprio totem intoccabile. I governi che in passato hanno solo ventilato l’ipotesi di scalfirlo ne sono usciti con le ossa preventivamente rotte. Che l’esecutivo Monti abbia in mente di rivederlo non è certo ma è molto probabile soprattutto perché ce lo chiede l’Europa. In effetti sotto la lente del commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, a fine novembre, era finito proprio l’articolo 18, seppur non citato esplicitamente. Nel documento «Adressing italy’s high-debt/low-growth challenge» si legge, a pagina 6, un paragrafo che più esplicito non si può. «Per rilanciare la crescita necessitano misure» che «rimodellino le rigidità a protezione dell’impiego». Poi, ancora più chiaro: «In particolare, la legislazione sui contratti a tempo indeterminato potrebbe armonizzare i possibili licenziamenti alle dimensioni dell’impresa rimpiazzando l’obbligo di riassunzione (in vigore per aziende da oltre 15 dipendenti) con dei pagamenti proporzionati alla durata del cessando contratto».

Il nodo arriverà al pettine la prossima settimana assieme ad altri. Uno potrebbe essere quello del reddito minimo garantito, misura di sostegno sociale che si applica in genere a categorie di cittadini che vivono un momento di difficoltà rispetto al lavoro: giovani in attesa di prima occupazione, ultracinquantenni disoccupati con difficoltà di reinserimento, persone in condizione di marginalità sociale. La controindicazione: costa moltissimo.

L’altro è quello degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità) che lo stesso Monti ha citato ieri durante il faccia a faccia con il premier danese Helle Thorning Schmidt: «Ho espresso l’interesse del governo per l’esperienza danese, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali», ha detto il Professore. E il modello danese poggia su un assunto: «Più si licenzia più si riassume». La Camusso è avvisata.

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