MONUMENTALE i tesori delle tombe

Nel monumento ai caduti dei campi di concentramento c’è terra di Mauthausen

Massimo Piccaluga

La morte vista con gli occhi di grandi artisti da sempre attenti al mistero dell’Aldilà. Il Monumentale è per definizione uno dei più ricchi e originali musei all’aria aperta. Nei suoi 250mila metri quadrati si possono ammirare gratuitamente opere che vanno dal realismo ed eclettismo di fine Ottocento al liberty e al simbolismo di inizio Novecento fino all’astrattismo e all’iperrealismo di epoca contemporanea. Un campionario della scultura lombarda lungo 140 anni. Non per nulla le opere presenti nella necropoli inaugurata dal Comune il 2 novembre 1866 su progetto dell’architetto Carlo Maciachini spaziano da Vincenzo Vela a Luca Beltrami, da Medardo Rosso a Enrico Butti, da Adolfo Wildt a Francesco Messina, a Giacomo Manzù, Giannino Castiglioni, Fausto Melotti, Giò Pomodoro e via elencando. Basta lasciarsi alle spalle il Famedio al centro del quale troneggia il sepolcro di Alessandro Manzoni e fare due passi tra i viali e i «Riparti».
Sul primo piazzale ci si imbatte subito nel rigore del Monumento ai caduti nei campi di concentramento. È targato Gruppo B.B.P.R. (iniziali degli architetti Belgioioso, Banfi, Peressutti e Rogers), dal 1955 custodisce al centro della sua struttura tubolare una gavetta colma di terra proveniente da Mauthausen. Proseguendo sul viale e guardando verso destra si giunge al cospetto di due opere dello scultore Enrico Butti. La prima fa parte dell’edicola Isabella Casati e fu realizzata nel 1890. Rappresenta una giovane donna sul letto di morte rapita da un sogno raffigurato da un pannello con schiere di angeli in rilievo. «Questa scultura - dicono gli esperti in coro - appartiene al migliore verismo lombardo»: guardare, possibilmente in silenzio, per credere. Poco distante, sempre sulla destra e sempre di Butti, c’è il famoso monumento Besanzanica. Famoso perché ritrae una figura femminile, simbolo del «soffio vitale della natura», di proporzioni quasi gigantesche in confronto alla sottostante scena campestre intitolata «Il Lavoro»: un tema che a Milano non è assente nemmeno al cimitero.
Svoltando a sinistra del viale principale, all’altezza della Cappella Fumagalli, c’è la tomba Zanaboni con tre figure in bronzo tra cui una donna dall’aria più sognante che sofferente. È distesa, appoggiata a un gomito e possiede una bellezza inquieta. L’opera è di Francesco Messina. Camminando tra cippi, edicole e monumenti le sorprese sono tali e tante che può succedere di cercare «L’ultima Cena» di Giannino Castiglioni (un gruppo in bronzo a grandezza naturale sulla tomba della famiglia Campari) e invece imbattersi in un angelo in ceramica policroma di Lucio Fontana che sovrasta la lapide della famiglia Paolo Chinelli. Queste sculture si trovano a sinistra dell’entrata principale, rispettivamente nel giardino rialzato e nel Riparto 2.
Ma Castiglioni al Monumentale ha firmato anche altri capolavori. Uno dei più imponenti si trova alle spalle dell’ossario centrale. È una torre a spirale con oltre 100 sculture che animano una spettacolare Via Crucis. Venne creata in collaborazione con l’architetto Alessandro Minali nel 1932 e ospita le spoglie del senatore Antonio Bernocchi che fu uno dei principali finanziatori della Triennale.
Ma proseguiamo. Cercando la «sfera schiantata» di Giò Pomodoro, un bronzo che correda la tomba Goglio, il visitatore può imbattersi in un’altra sorpresa. L’opera di Pomodoro (Riparto XII giardinetto 88) è infatti vicinissima alla tomba Achille dove un sorprendente angelo in rame dello scultore roveretano Fausto Melotti protende le braccia verso il sepolcro.


D’obbligo citare anche l’edicola Motta che ospita sei statue sacre in bronzo di Giacomo Manzù (Riparto XVIII); l’edicola Korner corredata da un’opera espressionista di Adolfo Wildt del 1929 intitolata «Affetto nel dolore» (Riparto XV) e la tomba di Filippo Filippi abbellita da una scultura in bronzo datata 1889 del torinese Medardo Rosso (Circondante di levante, giardino 325).

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