Adalberto Signore
da Roma
Pian del Re, pendici del Monviso, provincia di Cuneo. È il 13 settembre 1996, pochi minuti prima delle 17.30 Umberto Bossi solleva al cielo lampolla con lacqua appena prelevata dalla sorgente del Po. È stata forgiata per loccasione da un vetraio di Murano e fino a qualche minuto prima che inizi il rituale viene gelosamente custodita da due giovani e bionde leghiste in camicia verde, Marisa e Ilaria. Davanti a circa cinquecento persone, il Senatùr spiega il mistero di quella stravagante cerimonia: «Questa acqua pura e spumeggiante ha fatto la pianura padana. I nostri avi ritenevano che lacqua fosse Dio, immanente a tutte le cose. Noi la porteremo a Venezia e la libereremo nella laguna, così libereremo anche noi».
Sono passati già nove anni dalla consacrazione del Senatùr (fu nel 1986 che la Lega conquistò i suoi due primi seggi parlamentari con Giuseppe Leoni alla Camera e Bossi al Senato), ma la prima cerimonia dellampolla forse più dei raduni oceanici sul «sacro» prato di Pontida dà lidea di quale sia lo spirito originario della Lega, quello che negli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta ha conquistato e appassionato un elettorato in cerca di qualcosa di diverso rispetto ai comizi un po stereotipati della prima Repubblica. E sta anche qui il colpo di genio di Bossi, che ha voluto imporre al suo movimento una strategia comunicativa tra lo stravagante e il non convenzionale, ma comunque efficace. LUmberto ha iniziato con «la Lega ce lha duro» e ha finito per creare un nuovo universo della politica: cè una divinità (il Po, appunto), dei rituali (dalla cerimonia dellampolla al tradizionale incontro di Pontida, dove nel 1176 giurarono i Comuni che, uniti nella Compagnia del Carroccio, si liberarono di Federico Barbarossa), degli antenati (i Celti), una storia («furono i padri padani - disse - a fare lItalia e i Risorgimenti») e una chimera (lindipendenza della Padania). Ed è proprio in virtù di questultima che nel 96 il Senatùr decide di inaugurare la scenografia dellampolla, con annessa corsa dal Monviso a Venezia e, ultimo atto, la dichiarazione di indipendenza. «La secessione - tuona Bossi in quel primo appuntamento sul Monviso - è un atto dovuto della nazione padana». Parole che daranno il là allinchiesta del procuratore capo di Verona Guido Papalia che la settimana successiva ordinerà lirruzione della Digos nella sede della Lega Nord a via Bellerio (Roberto Maroni resterà ferito nel tentativo di impedire agli agenti di entrare, perché quelli sono uffici a disposizione di parlamentari della Repubblica e non potrebbero subire perquisizioni).
Non che in quella prima cerimonia dellampolla non ci siano stati incidenti di percorso, perché più Bossi azzarda e più la rappresentazione è grandiosa, più è alto il rischio di trascendere nello stravagante. Capita quando un fantomatico «ampolloforo» parte con in mano il prezioso «coccio» di Murano con destinazione Venezia. Deve consegnarlo - come annunciato pomposamente da Bossi - a un secondo «ampolloforo», dando luogo a una staffetta olimpico-podistica con destinazione San Marco. Insomma, la versione moderna e rivista della corsa del tedoforo che trasporta la fiaccola olimpica nella città che ospita i Giochi. Con lunica differenza che dopo qualche chilometro lampolloforo sinfila in unosteria, mette da parte i «sacri» riti e si butta su Barbera e Lambrusco. Alla fine ci pensò leurodeputato Luigi Moretti a portare lampolla fino a Venezia. Ovviamente, in macchina. E anche lanno successivo - il 1997 - qualche gustosa sorpresa la riserva, non tanto perché nel raccogliere lacqua il Senatùr inciampa e infila un piede (scarpa compresa) nel Po, quanto perché le «sacre pietre» raccolte in montagna con tanta fatica e molte celebrazioni non possono neanche essere mostrate alle telecamere visto che richiamano una pericolosa moda in voga quei giorni (il lancio dei sassi dai cavalcavia).
Negli anni, è ovvio, il rituale si è affinato e di incidenti di percorso non ce ne sono più stati. Restano gli strali, che puntualmente Bossi lancia da Venezia. Come quello contro il tricolore, anno 1997. «Lo metta al cesso, signora», fu lesordio del Senatùr al comizio, mano tesa a indicare la bandiera esposta alla finestra di un palazzetto di fronte al palco. E ancora: «Mi domando se tutte le volte bisogna fare il palco davanti allambasciata napoletana». E così si arriva ai giorni nostri.
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