Milano - Dario Mora detto Lele ci balla, dentro il gessato blu. I suoi legali provano a farlo sorridere. «Almeno sei dimagrito». Di ridere, però, Mora non ha molta voglia. Perché sono più di due mesi che le sue giornate le passa in carcere. Dal 20 luglio, dopo l’arresto per bancarotta della sua LM management. Ha perso quasi venti chili, in cella. E lo dice, ieri, ai giudici del tribunale del Riesame di Milano. «Il carcere è faticoso e umiliante». Poi, quando fuori dall’aula vede la figlia, nostro signore dei tronisti si commuove. E piange. Abbraccia Diana, 35 anni, prima di tornare dietro le sbarre. A giorni si deciderà - come chiesto dalla difesa - se concedergli i domiciliari. Ospite dell’avvocato Nicola Avanzi, oppure della mamma del secondo difensore, Luca Giuliante. Mentre invece la Procura, sostiene ci sia il rischio di inquinamento delle prove, tanto da giustificare un ulteriore permanenza dietro le sbarre.
Ha voluto esserci, Mora, per spiegare ai giudici di non essere «il male assoluto», di «aver sempre risposto a tutte le domande che mi hanno fatto i pm, e di essere pronto a rispondere ancora», e che dietro al crac della sua LM non c’è una distrazione di fondi. «È tutta colpa di Vallettopoli», spiega. Ovvero: fine del mondo dorato fatto di vip e comparsate in tv, e fine della sua attività. Ma in ballo, per la Procura, c’è altro. Ci sono otto milioni di euro che sarebbero stati sottratti alle casse della sua agenzia, e finiti nel portafoglo privato. C’è oltre un milione di euro che l’ormai ex amico Emilio Fede - che nega le accuse - avrebbe trattenuto per sè, come «commissione» (o «cresta») sui prestiti che l’impresario dice di aver ricevuto dal premier Silvio Berlusconi. Circa 350mila euro tracciati e oltre 700mila in contanti, in due tranche, in Svizzera e negli uffici di Mediaset. «Una costosa intermediazione», l’ha definita Mora. Un modo come un altro per dire di essere stato «strozzato» dal direttore del «Tg4». «Perché - ha messo a verbale l’impresario dei vip - Fede mi aveva detto che il suo impegno avrebbe dovuto trovare una remunerazione». Ancora, c’è la testimonianza di Patrick Albisetti, funzionario della banca Bsi di Lugano, secondo cui Fede - indagato per concorso nella bancarotta - avrebbe preso 300mila euro in contanti in Svizzera e per lui sarebbe stato aperto e svuotato anche un conto da 200 mila euro. E poi c’è proprio il Cavaliere, convitato di pietra dell’inchiesta condotta dai pm Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci. Il nome del presidente del Consiglio viene ripetuto più volte, in aula e nelle carte degli inquirenti. Mora - ai pm - aveva raccontato di aver incontrato Berlusconi lo scorso ottobre, per chiedergli altri 3 milioni di euro (che a causa dell’esplosione del caso Ruby - ha spiegato - non gli vennero mai dati), oltre ai 2,8 milioni che gli erano già stati versati. E ora, che accade? Che i pm potrebbero decidere di sentire proprio il presidente del consiglio, nella veste (mica tanto comoda) di testimone. Perché se è vero che allo stato Berlusconi è tenuto al di fuori dell’inchiesta, il suo interrogatorio come persona informata sui fatti potrebbe rivelarsi più problematico del previsto. Non potendo avvalersi della facoltà di non rispondere, infatti, il Cav sarebbe tenuto a spiegare la sua «prodigalità», i motivi e le modalità con cui pagò Mora attraverso l’amministratore del proprio portafoglio personale, il manager Giuseppe Spinelli, e se fosse a conoscenza della destinazione finale di quel denaro. Insomma, il rischio per Berlusconi potrebbe essere quello di vedersi «spremuto» due volte. Da un lato, da chi bussava alla sua porta nella speranza di trovare una mano generosa che tappasse i buchi di bilanci ormai fuori controllo.
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