Con Morandi alle radici dell’opera d’arte

Perché un noto, sofisticato francesista e analista del testo affida a pagine di pura prosa creativa inizio e fine d’una raccolta di saggi sull’arte? Stiamo, per ora, ai fatti: Stefano Agosti inizia il suo libro - Il testo visivo. Forme e i invenzioni della realtà da Cézanne a Morandi a Klee, Marinotti, pagg. 228, euro 22 - narrando eventi accaduti in un mondo possibile, il cui solo punto di contatto con il reale sta nell’immagine caravaggesca del Martirio di san Matteo. Gioco di specchi, omaggio a Borges. E chiude con un Dialogo tra Morandi e il genio familiare: l’omaggio, qui, è a Leopardi. In mezzo, analisi e letture di quadri, pittori amati: Cézanne, Monet, Klee, ancora Morandi. A rimbalzo, rinvii, incroci con le storie della cultura. Con pagine di Baudelaire, Mallarmé, Proust. Che dei pittori furono esegeti.
Se fosse lecito riassumere in una frase l’arte Novecentesca, la scelta cadrebbe sulla tesi di Mallarmé secondo cui l’opera (visiva, sonora, verbale) deve restituire la struttura pura della cosa, decretarne la sparizione materiale e la ricomparsa in forma di note, parole, toni. E a «tornare» sarà proprio la cosa stessa, non un suo simulacro o copia. Questa affermazione, nella storia intellettuale di Agosti, vale come pensiero dominante. Ed è stata ripresa, aggiornata con riferimenti alla linguistica, alla psicoanalisi, a Lacan. Arrivando con (e oltre) Mallarmé a sostenere che delle cose l’artista dovrà ricrearne gli equivalenti nello spazio del simbolico. E lo stesso varrà per le strutture del vissuto: eventi rimossi, scene cancellate. Il passaggio non è senza angosce, poiché una quota di soggettività si ritroverà, certo, ricreata o riscritta. Ma spostata altrove e, dunque, alienata: l’orizzonte del simbolico sta al di là della mia, tua, di ogni vita possibile. Queste le tensioni paradossali dell’artista moderno, destinato a lasciarsi espropriare dalla stessa opera cui affida la cifra profonda del suo esistere. E, di nuovo, è la pittura di Morandi a raggiungere l’apice di tali tensioni. Perché lì si fissa l’attimo in cui il mondo, inteso come insieme di oggetti culturali, svanisce e resta il suo tono allo stato puro. In un’aura di sospensione totale. Quasi che la percezione e il suo retroterra di passato precipitino in un’immagine che tutto immobilizza e trasporta in un altrove assoluto. Morandi afferra che la radice stessa dell’arte moderna, l’espropriazione compiuta dall’opera verso l'artista, ha un senso e può essere portata, esibita davanti agli occhi. La sua è metaarte, i suoi quadri dicono quello che nessun linguaggio sa descrivere. Sono, letteralmente, indicibili. Da qui l’aura di mistero e di silenzio che li avvolge.

Eppure, per parlare di quel mistero, di quel silenzio l’unico strumento è, nuovamente, la scrittura.
Forse per questo l’analista Agosti si è fatto scrittore d’invenzione. Per darsi una voce esterna, fuoricampo. Fuoriquadro. Dove l’ermeneutica del testo dovrà tacere, inizierà il suo racconto.

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