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Moratti copia Silvio e scende in panchina

Questo bene, questo no. La mentalità, certo. Poi le idee, i passaggi, lo schema: Massimo Moratti gioca all’allenatore. Non sembra neanche lui. Fa Berlusconi: «Contro il Bari abbiamo avuto troppa fretta di vincere, con un po’ di pazienza sarebbe stato meglio». È uno scherzo? No. È la vendetta di un uomo sul personaggio che interpretava finora. Perché è come se si fosse allentato il nodo della cravatta come fanno gli allenatori quando urlano in panchina. Via i freni, parla pure. I soldi li mette e quella è tutta roba sua. Qui il sapore è lo stesso delle leggende che girano attorno al Cavaliere: le telefonate ad Ancelotti prima delle partite, la volontà di giocare sempre con due punte, il commento tecnico finale. Moratti no. Era freddo, distaccato: Mourinho in panchina e lui in tribuna. Prima: Mancini in panchina e lui in tribuna. Prima ancora: Cuper in panchina e lui in tribuna. Ognuno al suo posto, per piacere.
E adesso? Adesso no. Il campionato comincia con la conversione del presidente interista. Da freddo a caldo, da passivo ad attivo, da patron a mister, che fanno schifo come nomi ma spiegano il concetto: Moratti si butta, vada quel che vada, commenta, analizza, cerca rimedi. La tecnica e la tattica. Balotelli? «Ha sempre una grande personalità e la trasmette alla squadra». Quaresma? «È sempre un po’ beccato dal pubblico perché è arrivato l’anno scorso e tutti pensavano dovesse fare subito cose meravigliose. Ha avuto una fondamentale difficoltà di partenza, di concentrazione e di far bene a tutti i costi, ma poi ieri ha dato una buona vivacità». Sembra di sentire un tecnico alla fine di una partita. Gli altri presidenti e anche lui prima di ieri si limitavano a bofonchiare tre ovvietà. Moratti ora spariglia. Suona simile a quando Berlusconi si mette a commentare le partite del Milan e spiega che lui ha visto tizio, caio e sempronio meglio degli altri, poi ha visto Ronaldinho e s’è rilassato. Perché la tentazione di scendere in campo lui ce l’ha sempre avuta, come quando raccontava della squadra dell’Edilnord e della voglia che aveva di buttarla dentro lui.
Moratti il contrario: ha sempre fatto il distaccato. Mai oltre la posizione dello spettatore interessato: le scelte erano dell’allenatore e lui solo a completare l’intervento con un assegno e un altro calciatore comprato. Era il presidente superpartes, fissato con Recoba, ma così rispettoso dei ruoli che mai si sarebbe azzardato a fare una telefonata all’allenatore per sponsorizzare il suo talentino. Diversi, anzi opposti, Berlusconi e Moratti. Due modi alternativi di interpretare il ruolo, due modi contrari di vivere: uno da «pago e pretendo», l’altro da «pago e speriamo bene».
Adesso il contrario. Tutti ad aspettare il commento del Cavaliere dopo la prima vera partita giocata di Ronaldinho da fenomeno. Due assist a Pato e uno al suo mentore. Silenzio, invece. Distaccato, il presidente, nonostante Dinho fosse e sia il suo pupillo. E per lui, una volta aveva detto una cosa alla Moratti. Aveva chiamato i suoi uomini mercato: «Quando me lo comprate?». Era il 2006 e mentre lui diceva così, l’avversario aveva già cominciato la metamorfosi. Lui che aveva sempre vietato le cessioni dei suoi gioelli costosi, ma inutili, quest’anno ha venduto Ibrahimovic, la sua gemma splendente e fondamentale. I soldi prima di tutto. Cioè quello che prima e anche adesso predicava e predica il Milan. Siamo tra l’ispirazione e il plagio, però il Moratti morattizzato avrebbe comprato subito Antonio Cassano, il quale ha anche fatto capire a tutti che lui all’Inter ci andrebbe a piedi, Mourinho permettendo. Il Moratti berlusconizzato, invece, non lo compra anche se l’allenatore glielo chiede: «Voglio un trequartista». Tonino è lì e il presidente Massimo non va a prenderlo, con la stessa logica con cui Berlusconi ha lasciato andare Kakà: certe spese non si fanno.
Le giravolte insaporiscono la vita, figuciamoci il pallone. Però qui siamo al derby capovolto. L’uno si specchia nel modo di vivere il pallone dell’altro. Così Moratti vede già la partita di sabato prossimo e la vive da allenatore: «Di quelle che ho visto giocare credo che il Milan sia la squadra che ha fatto megliò. Sarà una gara emotivamente importantissima». Come a dire: ci sono, sono pronto. La panchina come sogno irrealizzabile.

Però giocare a fare l’allenatore si può: bisogna solo vedere Mourinho che cosa dice.

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