Pierferdinando Casini le dà del «cane lupo», capace di azzannare chiunque osasse toccarle la scuola. E augura ai milanesi che altrettanta tenacia metta nel difendere Milano. Letizia Moratti alla fine non ringhia, ma lancia il bouquet di fiori tra la gente che lapplaude. Intorno quelli che più volte chiama «i miei amici». Oltre a Casini, Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Gianfranco Fini, volati a Milano per lanciare una candidatura che ha tanto il sapore della rivincita. O, meglio, di una nuova conta di voti, visto che Berlusconi continua a ripetere che in quella delle ultime elezioni cè qualcosa che non convince.
Al Palalido latmosfera è quella calda di un derby. Solo che, per una volta, le curve tifano per la stessa squadra («Abbiamo Silvio nel cuore e Berlusconi in Comune»). «Con Malagola la Letizia vola», sta scritto nellenorme striscione del giovane candidato azzurro che ha riempito le gradinate. Dallaltra parte, vestiti darancione, rispondono gli ultras Fidanza (Alleanza nazionale) con cori da stadio («Letizia Moratti eh eh, oh oh»). Lei si sbraccia, saluta dal palco con dietro il megaschermo. Parte da lontano. «Silvio Berlusconi - le sue prime parole - non ha guidato solo un governo. Berlusconi ha guidato un esercito di libertà». E poi passa a Bossi e lo ringrazia per «tutte le coraggiose battaglie personali e politiche condotte». Per Casini cè una promessa. «Un cane lupo? Sarà così anche a Milano». Per Fini il riconoscimento di aver guidato con saggezza la politica estera.
Poi la Moratti parla di valori, di centralità della persona, di solidarietà che non è assistenzialismo ma sostegno, di sussidiarietà, di un individuo che possa scegliere e decidere il proprio destino. E poi di una «Milano orgogliosa di essere il motore di questo Paese». Pronto lattacco al centrosinistra. «Noi - aggiunge e alza il tono di voce -, rifiutiamo gli estremismi. Loro no, degli estremismi si nutrono e lo hanno dimostrato in due occasioni, il 25 aprile quando ho portato mio papà in corteo per manifestare per i valori in cui credo e il Primo maggio. La seconda volta mi avevano invitato i sindacati, ma nemmeno questo è bastato. La piazza deve essere solo loro. Ma non è così». Tutti in piedi e cori dalle curve («Al Leoncavallo, Ferrante al Leoncavallo»). Pausa e riprende. «Mi hanno impedito di manifestare per la tolleranza e la democrazia perché questi valori li ritengono loro e non li concedono agli altri». Poi ne ha anche per Ferrante. «Il suo programma? Non esiste, quel poco che cè lha clonato dal mio, tanto che il mio staff lo ha definito la pecora Dolly». E poi la gaffe durante lintervista con Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche quando Ferrante ha parlato della moglie come una donna che sa stare un passo indietro. «Un passo indietro? Nessuna di noi donne - tira ancor più fuori la voce la Moratti - vuole fare un passo indietro. Noi vogliamo fare un passo avanti. Tutte». Anche Berlusconi si alza ad applaudire.
Per il finale cè la stoccata decisiva. «Io padrona? Vergogna, non si può delegittimare così lavversario politico - ripete per replicare allo strafalcione di Ferrante alla vigilia del Primo maggio -. Lavoro da quando ho diciotto anni, nessuno si può permettere di chiamarmi in quel modo. E, comunque, Ferrante non ha offeso solo me, ma tutte le migliaia di padroncini che in questa città lavorano, pagano le tasse e devono essere rispettati». Un incidente che sembrava chiuso. Ma non è ancora così. «In sinagoga sono andata io a stringere la mano al dottor Ferrante. Ora - e la voce arriva dove mai prima era arrivata -, aspetto le sue scuse».
A tutto ciò dallaltra sponda arriva una replica piuttosto timida.
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