MORAVIA chi? Tutti indifferenti

In fondo, a parlarne meno volentieri oggi sono gli scrittori più giovani, quasi provassero imbarazzo a doverlo definire o a riferirsi a lui. Alcuni, Alberto Pincherle, in arte Moravia, nato a Roma il 28 novembre di 100 anni fa, dicono addirittura di non conoscerlo. Le opinioni che abbiamo raccolto hanno caratteri discordanti, forse perché fotografano una personalità umana e letteraria che racchiudeva elementi controversi e non sempre decifrabili. Difficile dire quale sia oggi l’eredità spirituale e letteraria di questo prolifico scrittore, molto vezzeggiato in vita dall’establishment letterario, ma anche ferocemente attaccato da una critica che non gli risparmiava accuse di narcisismo e opportunismo, a partire da quel Moravia desnudo, di Sergio Saviane, suo collega all’Espresso, un pamphlet che nel 1976 scoppiò come una piccola bomba satirica nella stagnante quiete dei salotti romani.
VINCENZO CERAMI (scrittore e sceneggiatore): «Parlo come uno che gli è stato molto amico, specialmente negli ultimi anni. È stato lo scrittore italiano che per primo ha posto particolare attenzione alla sessualità. Raccontava l’anima dei suoi personaggi attraverso il loro rapporto con il sesso. Del resto gli interessava raccontare la borghesia come categoria economica; una borghesia giovane, immatura, poco colta e lontana dai problemi sociali. Non amava Pirandello, che a sua volta descriveva la crisi della borghesia attraverso l’infedeltà coniugale, ma in questo modo le dava anima. Per Moravia la borghesia era cinica e indifferente, complice del fascismo. Ma a lui interessava farne un ritratto intimo, non storico. Poi, dopo la morte, è stato dimenticato, come capita a molti, come è capitato a Comisso e ad Anna Banti, per fare qualche esempio. Ma è possibile che venga anche riscoperto. Va aggiunto che Moravia ha usato una specie di “lingua di servizio”. Non si è preoccupato dello stile dello scrivere, ma piuttosto dell’uso di un linguaggio universale e perciò è stato molto tradotto».
MARCELLO FOIS (scrittore): «Sono scarsamente moraviano. Mi interessa più come giornalista che come scrittore. Non è mai stato un mio punto di riferimento per la narrativa. Piuttosto, allora, Elsa Morante. Moravia rappresenta qualcosa che la mia generazione ha cercato di superare dal punto di vista del potere editoriale. Ci siamo dovuti confrontare in modo diverso e alternativo, direi quasi “contro”, questo tipo di scrittori e di scrittura. Anche perché quel tipo di atteggiamento ci aveva precluso ogni altra possibilità. Perciò siamo diventati giallisti: per uscire dalla triade Moravia-Pasolini-Calvino».
MARIO ANDREOSE (direttore editoriale Bompiani, casa editrice di tutte le opere di Moravia): «Alcuni critici lo considerano tra i più importanti scrittori del Novecento, altri ne rilevano la visione ripetitiva nel ritrarre una borghesia malata, in cui le donne apparivano solo come strumento di piacere. Tuttavia, in un’epoca di cultura provinciale, con gli intellettuali italiani chiusi nei loro giardini, lui conosceva le lingue, era inviato di grandi giornali, lavorava per il cinema (sua la sceneggiatura di Ossessione di Luchino Visconti) e per il teatro. Non c’è forma espressiva che non abbia praticato, e in particolar modo ci preme riproporre la sua produzione saggistica. Dopo aver appena pubblicato l’inedito I due amici, abbiamo deciso la ristampa di Impegno controvoglia, raccolta di saggi del 1980».
ANDREA DE CARLO (scrittore): «Quando l’ho conosciuto avevo letto i suoi romanzi più recenti e non mi avevano appassionato. Poi ho letto i romanzi brevi, come Agostino, L’amore coniugale e La noia e trovo che lì abbia dato il meglio, raccontando sentimenti significativi come la noia, appunto, o l’insoddisfazione. Ho la sensazione che oggi non sia letto molto e che non abbia avuto un’influenza in generale sulla letteratura italiana. Rappresentava però meglio di altri lo scrittore-scrittore, più che il critico, e io detesto la figura dello scrittore intellettuale».
ANTONIO DEBENEDETTI (critico, giornalista, scrittore): «Attraverso di lui, scrittore borghese in fuga dalla borghesia, si capisce che cosa c’era nel Dna della nostra classe media negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta. Ci sono scrittori più magici e incantevoli, come Mario Soldati, o la Morante, lui però racconta in modo insostituibile ciò che accade dietro le finestre della borghesia italiana. Di Moravia restano attuali lo sguardo (la città, la gente, le persone) e l’impegno serio verso la letteratura. I suoi personaggi che dialogano con se stessi sono poi in molta parte della letteratura di oggi, ma è un’eredità invisibile, che inconsciamente si tende a rimuovere».
LIDIA RAVERA (scrittrice): «Moravia era un intellettuale completo, non semplicemente uno scrittore. Vedeva e descriveva situazioni e geografie politiche. Era un maestro di sguardo, mentre molti scrittori odierni hanno una visione restrittiva del mondo. Devo dire che i suoi ultimi romanzi non mi hanno entusiasmato, preferisco la sua prima produzione, e poi i reportage e gli elzeviri. Era anche un instancabile animatore culturale. Quando scrissi il mio secondo romanzo, ero una ragazza, mi convocò a casa sua sul Lungotevere e mi trattò senza paternalismi, dicendomi cose buffe sulla mia sessualità. Era il 1977. Mi piacque questa sua apertura anche un po’ trasgressiva. Adesso gli scrittori sono tutti molto chiusi nel loro enclave minimale».
ALAIN ELKANN (scrittore, autore di Vita di Moravia): «Non so dire quale sia la sua eredità spirituale, ma certo metteva la letteratura al di sopra della politica. E poiché la letteratura è qualcosa di “contro” e lui era in fondo un borghese, conosceva quel mondo e lo poteva criticare. Per Moravia la scrittura era impegno di vita. Aveva fatto proprio il motto di Flaubert: “Il talento è lavorare ogni giorno”. Poi aveva una concezione anche estetica dell’atto di scrivere. Non l’ho mai visto sciatto, o spettinato o con la barba lunga. In questo era come Montanelli. La loro era una lezione di dignità e di disciplina. Se Moravia doveva passare del tempo in albergo, per prima cosa depositava sul tavolo la macchina da scrivere e una risma di carta. E poi conosceva le lingue, era un genio educato a diventare intelligente. I suoi romanzi sono drammi teatrali travestiti da romanzi. Aveva capito che l’intellettuale non è un uomo politico né un uomo d’azione. Anche la sua elezione all’Europarlamento l’aveva impiegata per spendersi contro il pericolo atomico. Oggi non esiste una “scuola moraviana” perché lui aveva amici, non discepoli. Ma io vedo poche voci, oggi, in grado di applicare quella sua regola: “In fondo allo sconosciuto, cercate il nuovo”».
GIUSEPPE SCARAFFIA (scrittore e critico letterario): «Da un lato Moravia ha lasciato un’eredità nefasta. Ha egemonizzato la letteratura italiana producendo e garantendo una serie di mediocri. Era anche un uomo dalla morale spregiudicata: nel ’39 andò a Parigi con Julius Evola.

Come scrittore era buono nei racconti, ma aveva il fiato corto nei romanzi. Andavamo al cinema. Prendeva il tram per avarizia. Mi diceva: “Si trova sempre un’anima persa per andare al cinema”, e poi approfittava della sua sordità per sentire solo quello che voleva».
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