Dove finisce il legame familiare e dove cominci l’ideologia, questo non lo sa nessuno. Di certo, l’incriminazione per terrorismo di Ernesto Morlacchi - figlio di Pierino Morlacchi, socio fondatore delle Brigate rosse - apre una finestra su uno scenario mai analizzato a fondo: quello dei rivoluzionari di seconda generazione, i figli e i nipoti degli uomini e donne che negli anni Settanta diedero l’assalto al cuore dello Stato. E che, a quasi quarant’anni di distanza, si ritrovano a gridare gli stessi slogan e a fare le stesse battaglie dei padri e degli zii. Il loro milieu è quello odierno della sinistra cosiddetta «antagonista», un universo magmatico dove convivono culture e inclinazioni diverse, ma dove è difficile trovare accenti critici verso l’esperienza delle Brigate rosse e del «partito armato» in genere. Nella mitologia ultrà, Renato Curcio ha un posto nell’Olimpo.
I casi censiti - va detto - per adesso non sono numerosi. A Milano viene registrata la presenza fissa, nei cortei dell’ala antagonista più radicale, di Valerio Ferrandi, figlio di Mario Ferrandi, capo dell’Autonomia milanese nel 1976, poi terrorista rosso, tra i responsabili dell’assassinio dell’agente Antonio Custra. Nel corso degli ultimi anni, i rapporti di Digos e carabinieri lo segnalano ripetutamente come soggetto a rischio. Il 24 gennaio scorso lo fermano mentre va a un corteo di protesta per lo sgombero di un centro sociale con un borsone di spranghe, e finisce in galera. A Torino, durante gli scontri per il G8, viene arrestato Domenico Sisi: è il nipote di Vincenzo Sisi, il sindacalista che la Procura di Milano considera un capofila delle nuove Br, e per il quale il pm Ilda Boccassini (la sentenza è attesa per domani) ha chiesto la condanna a 21 anni di carcere. Fino a quando lo zio non è finito in galera, il giovane Sisi è sempre apparso un militante piuttosto tiepido. Dopo la retata invece diventa un'attivista a tempo pieno di quell’area antagonista - i Collettivi Proletari Piemontesi, scissione «a sinistra» dei Carc di Torino e Biella - che gli inquirenti continuano pressoché contigua al nuovo brigatismo.
E poi c’è lui, Ernesto Morlacchi, figlio di Pierino, già sfiorato dalle stesse indagini della Boccassini sul Partito comunista politico militare, e ora indagato dalla Procura di Roma. Su quanto profondo ed effettivo fosse il suo coinvolgimento nelle attività del gruppo di Fallico e degli altri irriducibili sarà bene attendere gli sviluppi dell’inchiesta, il fatto che sia rimasto a piede libero dice che gli stessi inquirenti non sono affatto certi che avesse saltato il fosso, entrando a pieno titolo nei ranghi del partito armato. Ma per capire - aldilà delle notizie di reato - i meccanismi mentali della «seconda generazione», forse più dei verbali della Digos è eloquente una foto di dieci anni fa.
La fotografia ritrae lui, Ernesto Morlacchi, e suo fratello Manolo, ai funerali del padre Pierino, nel 1999. La foto è pubblicata in calce al libro scritto da Manolo «La fuga in avanti» (e il sottotitolo, «La rivoluzione è un fiore che non muore» dice già quasi tutto). I due fratelli Morlacchi circondati dalla bandiere rosse salutano a pugno chiuso la bara del padre che sfila su un furgone coperto dalla stella a cinque punti delle Br. «Nelle pupille di molti compagni - scrive Manolo - si scorgeva ancora una scintilla che sembrava dire "la lotta continua, fino alla vittoria!"».
Può sembrare incomprensibile, scritto nel 2009. Ma forse lo è meno se si leggono le pagine precedenti, se si scopre come anche una vita quotidiana particolare ed estrema come quella degli uomini che diedero vita alle Br possa - agli occhi di quelli che allora erano solo bambini - assumere nei ricordi la nostalgia dell’infanzia. Ci sono i militanti clandestini che si incontrano tra un delitto e l’altro, e intanto la vita che scorre normale, i bambini che giocano, le gite in campagna, Roberto Ognibene che dice a Morlacchi «che bel culo ha tua moglie». È anche di quei pomeriggi in campagna, e non solo del comunismo a portata di fucile, che forse oggi ha nostalgia Ernesto Morlacchi.
Ci sono vecchi brigatisti di quei tempi che oggi sono padri e madri, e che dedicano parte del loro tempo a insegnare ai figli la tragicità dei loro errori. Altri brigatisti, verrebbe da dire, non ci hanno nemmeno provato.
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