nostro inviato a New York
E alla fine se ne va giù per la Park avenue con il pastrano spiegazzato e lo zuccotto in testa perché qui fa freddo più che a Roma, le mani in tasca, da solo. Tra poche ore (ieri notte in Italia), Ennio Morricone dirigerà nella sala dell'assemblea generale dell'Onu il suo primo concerto americano e ha appena sgridato il coro Canticorum virtuosi di New York perché c'erano «ancora cosette da mettere a posto». Sorride e gli occhi si stringono dietro le lenti spesse. «Sono andato giù pesantino, ma tanto non hanno capito». Morricone non parla inglese, non ha il cellulare e a vederlo ora, in una saletta del suo hotel sulla Madison Avenue, con la matita che spunta dal taschino della giacca, sembra tutt'altro che il compositore italiano più suonato nel mondo (più di Verdi, conferma la Siae) né l'unico regista musicale capace di scrivere musiche che si vedono anche a schermo spento. «Ma lascia perdere il titolo indecente del New York Times dell'altro giorno: "Il maestro dello spaghetti western". Per loro quel genere è ormai diventato un piatto da mangiare e io sarei il cuoco. In realtà solo il sette per cento di tutta la mia produzione è western».
Ma che goccia. Al Palazzo di vetro per l'insediamento del nuovo segretario generale Ban Ki-Moon ci sono tutti gli ambasciatori, compreso il nostro Marcello Spatafora, e là in fondo, per un'ora e mezzo cè pure lui, a dirigere i ventotto minuti di Voci dal silenzio ispirata dall'11 settembre e dedicata a tutte le stragi della storia, e poi le musiche di Metti una sera a cena o di Maddalena o di Mission ma niente western perché è roba di pistole e morte: «Le eseguirò solo nei bis, se me lo chiedono». Morricone è vecchio (o giovane) come gli Oscar, 79 anni esatti, e a fine mese riceverà la statuetta alla carriera dopo averne sfiorate cinque in trent'anni. Lo annuncerà Monica Bellucci, «ma io avrei preferito mio figlio». Lo premierà uno tra De Niro, Eastwood o Beatty. E lo applaudiranno tutti, anche quei produttori che pretesero di tagliare un'ora e mezzo di C'era una volta in America tagliando anche il senso del film. «Li pregai di non farlo, ma non mi ascoltarono neppure».
Allora, nell'85, era già Morricone, mica come vent'anni prima, quando uscì Per un pugno di dollari e qualcuno iniziò ad accorgersi di lui. «Quel film rimase un anno di seguito al cinema Quirinale di Roma. Una sera io e Sergio ci andammo e, dopo averlo visto, ci siamo detti: "Maronna mia, che brutto"». C'era una volta il West è di quattro anni dopo e, tanto per dire, Bruce Springsteen se n'è innamorato così profondamente che ne ha suonato il tema con la sua chitarra, anzi ne ha suonate cinque versioni diverse, e l'ha spedito a Morricone: «Caro Maestro, per me lei può fare della mia chitarra quello che vuole». Il risultato è nel cd che uscirà il 16 febbraio, «We all love Morricone». Le sue musiche viste dagli altri, da Céline Dion («grande sensibilità») ai Metallica, da Bocelli a Herbie Hancock. «Il cd è stilisticamente disomogeneo» spiega lui, per intendere tra un brano e l'altro il filo conduttore ha la sua firma ma poi ogni musicista ha fatto di testa sua, cosa che con il maestro è un'impresa.
Pochi sono riusciti a fargli cambiare idea e difficilmente ci riuscirà Giuliano Montaldo, che sta per girare un film sulla vita di Dostoevskij: «Gli farò le musiche. È un caro amico, sono contento che dopo anni sia riuscito a metter su un film». Il tempo è galantuomo e chissà che soddisfazione, per il maestro spesso trascurato dalla critica, ricevere le congratulazioni del mondo dopo la notizia dell'Oscar: per due giorni, dice, i telefoni erano intasati. «Mi hanno chiamato anche i politici, persino Rutelli ha annunciato che sarebbe venuto agli Oscar ma non credo che ce la farà». A proposito: molti lo vorrebbero senatore a vita. «Non mi dispiacerebbe, anche se non posso andare in aula tutti i giorni. Il tempo è il mio problema». E così si è concentrato perché l'Onu è la sua consacrazione come direttore d'orchestra, mica solo come compositore.
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