Politica

Morte di un simbolo

Il simbolo della tragedia che sta accadendo attualmente in Irak è la spietata persecuzione contro i giornalisti e, soprattutto, la morte della giovane giornalista di Al Arabiya e di due suoi collaboratori per mano dei terroristi.
La cronista era nativa della città di Samarra dove è stata assassinata, figlia di padre sunnita e madre sciita. Quindi simbolo vivente della convivenza civile e della fratellanza che unisce da secoli il popolo iracheno e lo tiene saldo e compatto contro i disperati tentativi di dividerlo e di portarlo alla guerra civile.
L'assurda esecuzione della giovane giornalista avvenuta proprio nella sua città (chiamata «Surra man ra'a», ovvero «La gioia di chi la vede», dal califfo Al Mu'tasim che la fondò nell’836 d.C. per farne la capitale militare dell'impero Abbaside) è un chiaro segnale degli intenti dei terroristi.
Uccidere Atwar Bahjat significa mettere a tacere la voce della verità, cercando così di eliminare l’emblema vivente dell'Irak unito.
Ha lo stesso intento anche l'attentato alla moschea di Samarra, distrutta dopo 1200 anni di venerazione e conservazione quasi maniacale da parte della popolazione di maggioranza sunnita. Un’azione che mira a lacerare la compattezza del popolo iracheno e vuole provocare una assurda guerra civile. A chi giova spingere il Paese verso lo scontro e la destabilizzazione se non a coloro che aspirano a dividere la nazione per poter prendere il potere e far fallire il progetto americano della democrazia in Irak?
È vero che non è possibile creare uno Stato democratico senza partiti democratici, ma la volontà democratica del popolo iracheno esiste ed andrebbe sostenuta. Qualcuno sta cercando di puntare il dito contro le truppe occidentali, ma c'è da chiedersi che interessi possano mai avere gli americani e i loro alleati nell'incendiare il Paese che dovrebbe diventare il progetto trainante per diffondere la democrazia e la libertà in tutta l'area. Si brucerebbero loro per primi.
Gli unici che possono avere interessi nello spingere l’Irak verso una guerra civile che avrebbe disastrose conseguenze sono i fedeli di Saddam. Gli stessi che non hanno esitato a bombardare il sepolcro dell'Imam Hussein a Kerbala per massacrare i rivoltosi sciiti che vi si erano rifugiati dentro dopo la fallita ribellione del marzo 1991: e non è un caso l'aumento degli scontri di carattere religioso dopo la ripresa del processo al dittatore e le polemiche in aula.
Un altro gruppo che potrebbe essere responsabile dell'attentato sono gli integralisti, i cosiddetti «Jama'at al takfir», che vedono in questi sepolcri una grave deviazione dei principii dell'Islam. Ritengono che il culto della persona sia un atto illecito e da cancellare, basta ricordare il bombardamento delle statue buddiste in Afghanistan e la profanazione delle moschee sciite in Pakistan.
C'è infine da segnalare la ferma presa di posizione del governo iracheno contro azioni del genere, ma allo stesso tempo stupisce il fatto che l’esecutivo di Bagdad abbia dichiarato tre giorni di lutto per l'attentato alla moschea mentre per le centinaia di persone assassinate, compreso l'omicidio della giornalista di Al Arabiya, non sia stato chiesto neppure un attimo di silenzio.
Comunque sia il popolo iracheno non permetterà ai fanatici assassini di avere la meglio, come non permetterà a questi terroristi di spingere la nazione verso lo scontro. Saranno due i simboli del popolo: la moschea (per la fratellanza e la tolleranza religiosa) e la giornalista (per l'unità e la libertà di pensiero).

Gli iracheni si troveranno così insieme nella stessa trincea per difendere il loro diritto alla vita.

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