Morti in corsia, invertiti i tubi del gas della terapia coronarica

Sott’accusa l’impianto dell’ospedale di Castellaneta, nel Tarantino: dalla conduttura dell'ossigeno usciva protossido di azoto. Un collegamento sbagliato in fase di costruzione ha provocato la morte di una donna di 73anni. Unico caso certo su 8 morti sospette. Sequestrati tutti gli impianti dell'azienda. Ora la Turco vuole una legge sulle cure sicure

Morti in corsia, invertiti i tubi 
del gas della terapia coronarica

Castellaneta (Taranto) - Un collegamento sbagliato: al posto del tubo dell’ossigeno è stato attaccato quello del protossido di azoto, una sostanza che tra l’altro che non è assolutamente prevista in quell’ala del reparto. E così, a causa di un doppio errore, il gas letale e la morte sono arrivati attraverso le mascherine sistemate sopra le spalliere dei letti dell’Unità di terapia intensiva coronaria (Utic) dell’ospedale di Castellaneta, ventimila abitanti, una quarantina di chilometri da Taranto, là dove hanno perso la vita otto pazienti nel giro di due settimane. Questo è quanto emerso dall’inchiesta della procura di Taranto. Le indagini sono dirette dal pm Mario Baruffa, che ha disposto il sequestro del reparto e l’autopsia su Pasquale Mazzone, 82 anni, e Cosima Ancona, 73 anni, le ultime vittime di una strage silenziosa che ha scatenato rabbia e disperazione. Gli inquirenti mantengono il massimo riserbo, ma secondo indiscrezioni a breve potrebbero partire i primi avvisi di garanzia. L’ipotesi di reato è omicidio colposo.
Al centro dell’inchiesta ci sono le verifiche sul collegamento dei tubi. Ma non solo, perché in realtà in quella zona dell’Unità di terapia intensiva coronarica è prevista solo la presenza di ossigeno in quanto si svolge esclusivamente un’attività di monitoraggio: il paziente viene infatti tenuto sotto costante controllo, ma non è sottoposto ad alcun trattamento particolare come invece accade nell’altra ala del reparto, quella di emodinamica, dove può essere necessaria la somministrazione di protossido di azoto. Ecco perché si sarebbe trattato di un doppio errore: il collegamento dei tubi e la presenza di una sostanza non prevista.
L’impianto è stato realizzato dalla ditta Ossitalia di Bitonto, in provincia di Bari, che il 31 marzo del 2005 ha rilasciato il certificato di conformità. Il reparto è stato inaugurato il 20 aprile scorso, un giorno segnato dalla morte di due pazienti: Vincenzo Tortorella, 75 anni, e Antonio Naselli, 76 anni. E i decessi si sono susseguiti uno dopo l’altro, un macabro bollettino che adesso è al centro dell’inchiesta della magistratura: il 24 aprile è morto Leonardo Grieco, 85 anni, il 25 Angelo Carmignano e Pasquale Caragnano, 67 e 84 anni, il 30 Michelina Santoro, 30 anni; poi, il 3 e 4 maggio, le ultime vittime: Mazzone e Ancona. Sono questi i casi sui quali sono in corso le verifiche dei carabinieri: in realtà per il momento le situazioni che destano maggiori sospetti sono quelle relative agli ultimi due pazienti mentre per gli altri potrebbe essere stato determinante il quadro clinico compromesso e le condizioni particolarmente gravi.
Il sequestro è scattato nella tarda serata di venerdì, ma ieri il magistrato inquirente è tornato in ospedale insieme al consulente appena nominato, il professor Luigi Strada, dell’istituto di medicina legale dell’università di Bari. L’impressione è che gli inquirenti siano ormai certi sull’errore di collegamento, un’ipotesi confermata dal direttore generale della Asl di Taranto, Marco Urago, il quale ha trasmesso una comunicazione scritta all’assessore regionale alla Sanità Alberto Tedesco. «La presenza di protossido di azoto - si legge nel documento - è stata causata da un errato collegamento in fase di esecuzione dell’impianto dalla linea di ossigeno alla linea principale di distribuzione del protossido di azoto utilizzato da altri reparti anziché sulla linea principale di distribuzione dell’ossigeno». Il direttore generale della Asl, insieme ai suoi tecnici, ha controllato i tubi partendo dal luogo di ricovero dei pazienti. Risultato: è stato trovato un raccordo a forma di T che aggancia la condotta dell’ossigeno. La tragedia potrebbe essere stata innescata da questo collegamento fatto su due tubi diversi che non sarebbero mai dovuti entrare in contatto.

Proprio per questo sono completamente differenti: uno bianco e stretto per l’ossigeno, l’altro blu e più largo di almeno cinque centimetri. Un sistema ideato proprio per evitare confusione. Eppure dalle mascherine del reparto è uscita la sostanza letale.

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