Roma - «Paolo, ti volevo informare: mi sto dimettendo». Cirino Pomicino, all’epoca ministro del Bilancio, riceve la telefonata mentre è in macchina diretto al Senato. Dall’altra parte della cornetta, c’è Guido Carli, ministro del Tesoro. «Guido, aspetta, cosa succede? Perché ti vuoi dimettere? Cosa è successo?». «Andreatta contesta i miei dati economici. Non lo posso accettare».
Beniamino Andreatta era fatto così: anche se aveva di fronte Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia, ex presidente della Confindustria, ministro del Tesoro, doveva dire la sua. «Aveva una competenza unica del bilancio - ricorda Giuseppe Vegas, ora senatore di Forza Italia, all’epoca funzionario della commissione Bilancio di Palazzo Madama presieduta da Andreatta -. Sapeva quanti poliziotti c’erano alla Questura di Forlì. Impose la copertura triennale della Finanziaria; ma non ostacolò la creazione dei fondi negativi, una delle cause dell’esplosione del deficit»». Nino Andreatta, quando discuteva, entrava in una specie di trance mediatica. «Professore, professore...». «Che c’è», rispondeva infastidito a chi lo interrompeva in un ragionamento. «Sta mettendo il fiammifero acceso in tasca». «Non me n’ero accorto: un problema in più per mia moglie», e continuava a parlare.
Trentino di nascita, figlio di un banchiere, nel 1950 riceve il premio di miglior laureato dell’anno. Leggendo Il discorso sulla povera gente di Giorgio la Pira scopre il solidarismo economico. Ed entra in contatto all’Università Cattolica di Milano con l’intellighenzia cattolica dell’epoca, ispirata e guidata da Giovan Battita Montini, Paolo VI. Negli anni Settanta diventa il consigliere economico di Aldo Moro. Nel 1976, il debutto al Senato. Da quel momento, e fino al 15 dicembre 1999 (quando perde i sensi in una seduta notturna sulla Finanziaria), resterà sempre in Parlamento, europeo e nazionale. Negli stessi anni si avvicina a Luca Cavazza ed al salotto del Mulino. E fonda, quella che diventerà la «scuola bolognese» degli economisti. Ma lo fa nella facoltà di Scienze Politiche, non ad Economia.
In quegli anni, l’incontro con Romano Prodi. L’attuale premier gli fa da assistente a Bologna. Ed è Andreatta a farlo diventare professore ordinario, creando per lui la cattedra di «Economia e Politica industriale». I due non si daranno mai del «tu». Franco Modigliani, quando li incontrava insieme, li prendeva in giro su questa stranezza fra accademici. Ed alle osservazioni del Premio Nobel, nella sua aristocrazia intellettuale, Andreatta rispondeva: «Dò del tu solo a chi stimo poco».
Ed in Politica dava del «tu» a molta gente. Nel 1979 entra al governo come ministro del Bilancio. Il suo consigliere economico è Mario Baldassarri, attuale senatore di Alleanza nazionale. Nel secondo governo Cossiga, la maggioranza viene allargata ai repubblicani, e lascia il Bilancio ad Ugo la Malfa. Ma un posto al governo lo conserva ugualmente, come ministro degli Affari speciali. Con il governo Spadolini va al Tesoro, incarico nato in una serata all’Arel (altro centro studi da lui creato, da cui è uscito Enrico Letta, attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio). E da ministro del Tesoro fu protagonista della «lite fra comari». Andreatta accusò Formica (ministro delle Finanze) di essere «un commercialista di Bari». La replica: «E tu hai idee nazional socialiste». «Fuori tutt’e due», disse Spadolini.
Dal 1996 al 1998 fu il ministro della Difesa del primo governo formato dal suo allievo prediletto. Hanno ragione Rosy Bondi e Francesco Rutelli a ricordare Andreatta come uno dei fondatori dell’Ulivo. Fu lui ad opporsi alla svolta destrorsa che Buttiglione voleva imprimere alla Dc dopo Tangentopoli.
E fu sempre lui ad ispirare la creazione del Partito popolare. «Aveva un eccezionale senso dello Stato e dell’interesse pubblico», lo ricorda Giorgio Napolitano. «Di intelligenze così ne nascono una ogni secolo», disse Giuliano Amato, dopo quel tragico 15 dicembre 1999.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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