Minuto, la faccia da travet furbetto, le grandi ambizioni - come quella di tradurre Brel e Aznavour in dialetto bolognese - e un onesto curriculum da bravo chansonnier-cabarettista: Dino Sarti, settantanni compiuti da poco, è morto ieri nella sua Bologna senza essere mai riuscito a diventare una grande star, nonostante fosse nato in una terra che da Verdi a Toscanini, da Bergonzi a Pavarotti, e daltronde da Nilla Pizzi a Dalla, Guccini, Morandi, Vasco Rossi ha sfornato un vero esercito di grandi e grandissimi. Certo, ad un tratto parve che Sarti, ex tornitore meccanico diventato poi cantante di balere e di night e infine cantautore di buona notorietà, il gran successo lavesse ottenuto: fu quando, nei movimentati anni Settanta, un suo concerto bolognese calamitò in piazza Maggiore, inaspettatamente, quarantamila persone. Era il 74: da allora, ogni vigilia di Ferragosto e per dieci anni, Sarti reiterò quellannuale appuntamento in piazza, ma il successo andò scemando e lui si dedicò ad una decorosa routine dautore e interprete, in buona parte fondata sulle sue doti dintrattenitore ironico e garbato.
Non gli mancarono successi allestero, dal Libano a Teheran dove fu chiamato a cantare allincoronazione dellultimo Scià. Oltre a fargli scrivere canzoni per altri artisti - Fred Bongusto, ad esempio - la sua attività dautore di esile ma non futile vena, lo indusse a dar vita ad alcuni spiritosi bozzetti, da Par piasair lasa stèr la mi dona fino a Tango imbezel, Spometi, Piazza Maggiore 14 agosto e altri: quali su testi di Tonino Guerra, quali tradotti in bolognese da originali daltri autori.
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