Una carriera stroncata da uno scandalo di tangenti. Il primo dell’Italia republicana. Poi la galera. Sparì così dalla scena politica Mario Tanassi che, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, era stato segretario del Psdi e ministro della Difesa. Ieri ha lasciato anche questa terra, alla veneranda età di 91 anni, compiuti il 17 dello scorso marzo. Originario di Ururi, una località molisana in provincia di Campobasso, Tanassi aveva trentun anni quando la scissione di Palazzo Barberini, di cui fu uno degli artefici, tagliò una fetta del partito socialista che da allora divenne il partito socialdemocratico. Cambiava molto la forma, ma poco la sostanza: il Sole nascente, di cui Tanassi sarebbe diventato segretario 18 anni dopo, sarebbe stato l’alleato fedele in tanti anni di governo con Dc, Psi, Pri, Pli.
Di quella stagione, Tanassi fu un protagonista: nel gennaio 1964 successe a Giuseppe Saragat (uno dei fondatori del Psdi) alla guida del partito. Ci rimase due anni e mezzo, fino all’ottobre del ’66. Era l’inizio della sua scalata. Nel giro di quattro anni conquistò il ministero della Difesa, una poltrona che sarebbe stata sua in altre due occasioni e dalla quale sarebbe iniziato il suo crepuscolo a metà degli anni ’70. In quella quinta legislatura però il presidente del Consiglio, Mariano Rumor, sostenuto da Dc-Psi-Psdi, gli assegnò la Difesa, lui ebbe come sottosegretario un giovane di belle speranze: Francesco Cossiga.
Il governo durò poco: 101 giorni e Tanassi per tornare a quella prestigiosa carica dovette attendere due anni e una legislatura, la sesta. E naturalmente il governo: il Giulio II. Andreotti gli riconsegnò il ministero e stavolta il tripartito Dc-Pli-Psdi durò quasi un anno. Erano gli anni d’oro per quell’ex partigiano del Psiup, dal faccione pacioso, che da febbraio a giugno 1972 aveva dovuto reggere la segreteria del Psdi traghettandolo dalle mani di Mauro Ferri a quelle di Flavio Orlandi.
Nel governo Andreotti, Tanassi fece il pieno: era anche vicepresidente del Consiglio. Eppure, alla caduta del Giulio II, dovette attendere ben poco per sedersi ancora al vertice dell’Esercito; il 7 luglio Rumor, nel quarto governo sostenuto da Dc-Pri-Psi-Psdi, gli restituì quella carica. Ma il momento della caduta è ormai vicino: nel 1975 gli insoddisfacenti risultati del Sole nascente spinsero i tesserati a rimetterlo in sella e a giugno Tanassi riconquistò il timone.
Nulla sembra presagire il tornado che sta per scatenarsi all’orizzonte: qualche settimana di tregua e scoppia lo scandalo Lockheed. I vertici dell’azienda americana che produceva gli Hercules C-130 ammisero di aver passato laute bustarelle ad «Antelope Cobbler», misterioso nome dietro il quale si nascondevano militari e politici. Nella bufera finirono i ministri della Difesa Luigi Gui e il successore Tanassi oltre all’ex presidente del Consiglio Mariano Rumor. Questi fu accusato ma l’Inquirente, presieduta da Mino Martinazzoli, lo mandò assolto. Era il 1976, per Rumor fu la fine politica. Un destino che stava per coinvolgere anche Gui e Tanassi. E mentre il 10 marzo 1977 l’allora presidente della Dc, Aldo Moro, si spese in un accorato discorso parlamentare in difesa di Gui sostenendo che «la Dc non si sarebbe fatta processare nelle piazze», l’Inquirente diede l’autorizzazione a procedere contro entrambi. Gui poi fu salvato dal pronunciamento delle Camere, per Tanassi ci fu il processo. L’1 marzo 1979 l’Alta Corte diede la sentenza: due anni e 4 mesi.
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