Le moschee «a rischio» sorvegliate dagli 007

Al vaglio degli investigatori associazioni e istituti non ufficiali

Le moschee «a rischio» sorvegliate dagli 007

Claudia Passa

da Roma

Milano, innanzitutto. Poi Torino, Cremona, Brescia, Vicenza, Napoli, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Roma, Venezia, Vercelli, Desio, Firenze, Udine, Taranto, Perugia, Bari, Bassano, Genova, Padova, Bergamo, Treviso, Latina, Cremona, Rovigo. È senza fine l’elenco stilato dall’antiterrorismo dei siti islamici monitorati per tre ordini di motivi: perché ospitano, o hanno ospitato, aspiranti terroristi «in sonno» o mujaheddin diretti in Afghanistan o Irak; perché ospitano, o hanno ospitato, imam integralisti che nelle loro khutba (omelie) in qualche modo giustificano, o hanno giustificato, le mattanze di civili in nome di Allah e di Bin Laden; perché fungono da catalizzatori per finanziamenti «coperti» pro jihad sotto forma di oboli privati, donazioni, sussidi, sovvenzioni.
Ovviamente non tutti i centri di culto (343 al nord, 132 al sud, 88 al centro) sono oggetto di indagini più o meno approfondite. L’elenco è comunque corposo. Prende di mira alcune moschee ufficiali e non ufficiali, «centri» o «istituti» islamici, a denominazione «pacifista» o «culturale», sottoforma di «comunità», «associazione», «organizzazione araba», «società giovanile», «centro documentale», «unione» o «confraternita». Eppoi «phone center», «agenzie di viaggio», «internet point», «ristoranti» di riferimento.
Uno screening parziale per tentar di risalire a personaggi in qualche modo ricollegabili ai «dormienti» seguaci di Al Qaida, rigidamente compartimentati in cellule da cinque-sei persone, più o meno orbitanti fra il Gspc (gruppo salafita per la predicazione e il combattimento - Salafia Jihadia marocchina), il Gct (Gruppo combattente tunisino) il Gcm (Gruppo combattente marocchino), i Fratelli musulmani, al Tawid, e Takfir-wal-Hija («Anatema e esodo»).
Una quindicina di nomi finiscono accanto ai siti islamici «milanesi» orbitanti fra Segrate, Gallarate (dove l’ex imam Mohammed El Mahfoudi venne arrestato a giugno 2004 perché sospettato di essere dietro a una cellula del Gspc), la moschea di viale Jenner e Desio. Tutti riconducibili chi all’entourage milanese di Osman Rabei (il cervello delle bombe di Madrid arrestato a Milano) chi ai collegamenti con l’egiziano Abu Omar (l’ex imam della moschea radicale di via Quaranta «sequestrato» dalla Cia) chi ad Abu Imad altro imam del centro di viale Jenner (perquisito a maggio) chi infine fra le reclute del gruppo curdo filo Al Qaida di Al Ansar, con base in Lombardia e Veneto, e con addentellati fino in Toscana. Più precisamente a Firenze, nella moschea di Sorgane e in tre «centri» culturali frequentati dai fiancheggiatori dei maghrebini spediti alla sbarra insieme al loro imam, l’algerino Rachid Maamri. Da Firenze, attraverso i canali che si rifanno all’ex predicatore itinerante (il marocchino Mohamed Rafik, coinvolto nelle stragi di Casablanca) i tentacoli si dipanano fino ai «centri» di Brescia e in special modo di via Massarotti a Cremona dove il religioso predicava e faceva proseliti sull’esempio dell’imam precedente, Ahmed El Bouhali, scomparso in Afghanistan. A leggere la «mappatura» delle aree a rischio la situazione su Roma sembra la più delicata. Fioccano le moschee clandestine (una decina), il via vai con il Pakistan e l’Arabia Saudita è una costante da parte di alcuni religiosi in odor di terrorismo già passati per le moschea di Centocelle, Esquilino, El Huda, e viale Marconi oltreché in quella di «Al Armini», in via Gioberti, al centro di numerose inchieste poi archiviate. Sisde, Ros e Digos vagliano con attenzione tre «luoghi di culto» a Ostia, sul litorale romano. Le ultime segnalazioni dell’intelligence prima delle bombe di Londra, sempre sulla Capitale, parlano esplicitamente di «un recente incremento del ricorso all’utilizzo dei phone center di (...) per l’attività di proselitismo e reclutamento».
Ancora più incerto l’evolversi della situazione in Campania, specie a Napoli, con il convergere di investigazioni su un gruppo di habitué dei ritrovi di piazza al Mercato, via Rossini, e corso Lucci, ex sostenitori del Gia algerino, scissosi in una branca del Gspc. A Caserta nel mirino dei carabinieri continua ad esserci la moschea di San Margellino. L’Università per stranieri di Perugia costringe le forze dell’ordine a dare un’occhiata a una ventina di studenti e a due centri islamici del capoluogo umbro. Altra direttrice potenziale del terrorismo passa per il Piemonte (12 siti monitorati) tra Vercelli, Novara e Varese. Una conferma in tal senso arriva dalle rivelazioni del pentito marocchino Kheimani Saidani che proprio nella moschea di Vercelli aveva localizzato un presunto commando diretto a Milano. E che dire della moschea di Como, in via Pino, e dei due suoi vecchi frequentatori (attualmente irreperibili) legati all’ex imam Ben Mohamed Snoussi Hassine, espulso dall’Italia a giugno perché considerato pericoloso. Como continua a essere sotto i riflettori per capire chi era in contatto con il presunto fiancheggiatore milanese di Al Qaida, Touati Rafik Ben Salemi, e Lofthi Rihani, un kamikaze tunisino immolatosi in Iraq.
Al Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento fanno riferimento anche alcuni elementi rintracciati fra Bologna e Genova.

In quest’ultima città si riscontrano fermenti preoccupanti in tre «centri culturali» e in alcune aree localizzate nei dintorni del porto relativamente alla possibile ricostituzione di una cellula di cinque kamikaze pronti all’uso, sulla falsariga di quella di Al Ansar, sgominata dalla procura di Genova a Maggio 2004. Altro snodo cruciale resta Torino: cinque «istituti», tutti più o meno oggetto di informative specifiche. Poi bisognerebbe trattare i casi di Treviso, Venezia, Rovigo, Trieste, Bergamo, Vicenza, Mazara del Vallo...

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