«Dopo la mossa di Berlusconi sono pronto a dare una mano»

Intervista a Capezzone, ex radicale che ha lasciato Unione e poltrone: «Spero nella rivoluzione liberale»

da Roma

Daniele Capezzone è su un divanetto a Montecitorio. Passa l’onorevole De Luca (Dc di Rotondi): «Complimenti, non ci credevo!». Non facciamo in tempo a riprendere l’intervista che sopraggiunge l’onorevole Airaghi, aennino: «Sei stato un signore!». Così, la prima notizia è che Capezzone - che era eletto nella Rosa nel pugno presidente di commissione, ma che ormai si sente fuori dal centrosinistra per la sua politica fiscale (le pensioni e tante altre cose) - per coerenza col mandato lascia la poltrona. La seconda: l’ex segretario radicale «guarda con attenzione» (anzi, «è pronto a partecipare») al nuovo partito di Berlusconi: «La più grande innovazione dal 1994 a oggi».
Onorevole Capezzone, sono dimissioni per... «avvenuto cambio di coalizione»?
«Sì. Ma anche per una questione di principio. Non è tutto Casta: i politici non sono tutti furbacchioni imbullonati alla propria poltrona».
Certo, «dimissioni» nel Palazzo della politica italiana è una parola magica.
(Capezzone ride): «Mi sono divertito a compilare una casistica: in Italia le dimissioni si... annunciano».
O si minacciano...
«Si possono anche ventilare! In tutti e tre i casi, si ritirano prontamente».
E se non si ritirano...
«Il Parlamento le boccia».
Vuol dire che le sue...
«Non appartengono a nessuna delle categorie citate. Sono già date, irrevocabili. E sono un punto di coerenza».
Ci perde anche qualcosa...
«Credo che economicamente, fra una cosa e l’altra, siano almeno 4mila euro di diaria mensile».
E poi c’è l’autoblu!
«Addio anche a quella!».
E i due collaboratori assunti dalla Camera con tanto di sedicesima?
«Quelli d’ora in poi, me li accollo io, non voglio mettere sulla strada nessuno».
Ma chi gliel’ha fatto fare?
«Semplice. Mi sono separato dal governo un anno fa. Da febbraio non voto più la fiducia. Era giusto lasciare quel posto, espressione politica di quella maggioranza».
E il Partito radicale?
«Non ho restituito la tessera un anno fa, quest’anno non la riprenderò».
E il suo ex pigmalione Marco Pannella?
«Mi spara addosso tutti i giorni da Radio radicale... Io gli faccio tanti auguri».
Lei è cortese ma gelido.
«Sincero. Gli auguro gioie con i liberali “Prodi e Visco”».
Dice così perché lei è da Visco che fugge.
«Direi proprio di sì. Ritengo esaurita la stagione politica del centrosinistra. Il governo è un malato terminale...».
Ora lei è feroce.
«No, è una diagnosi datata: da mesi siamo all’accanimento terapeutico, direi».
Si dimette anche dal ruolo di opinionista in Markette?
(Altra risata): «Le rispondo seriamente: quello è davvero un luogo libero: da quando vado in onda, né Piero, né nessuno mi hanno mai detto una parola, un questo sì, quello no».
Più «liberale» Chiambretti di Pannella?
«Su Marco mi consenta di non ripetermi».
Il suo divorzio dal centrosinistra avviene sulle tasse...
«Propongo flat tax al 20%. Ho fornito dati e cifre, con la mia rete Decidere.it, su come tagliare spesa e imposte».
Risultato?
«Un calcolo presto fatto: i due decreti Tesoretto muovono 15 miliardi ciascuno in spesa pubblica; la Finanzaria 12 miliardi di euro; l’accordo sul welfare altri 10. Sa il totale?»
Trentasette miliardi?
«Esatto. Tutta spesa pubblica, nessun taglio. Non va».
Lei è infuriato per le politiche giovanili.
«In tutta Europa l’età pensionabile si riduce. Da noi aumenta. Per finanziare le pensioni dei 58enni, ogni cocoprò paga 1/4 del suo stipendio in contributi più le tasse. Non è accettabile, per me».
Lei è un buon partito, non accasato in nuove famiglie. Il suo movimento...
«Non diventerà mai un ennesimo partitino».
Non è un mistero che lei guardi anche a Berlusconi.
«Mi pare un atto politico coraggiosissimo, il suo, paragonabile solo al 1994».
L’ha «sedotta» Bondi?
«Lo stimo. Se uno di sinistra avesse scritto i saggi che ha pubblicato lui, avrebbero speso paginate di incenso».
Perché lei evoca il 1994?
«Perché intorno al Pd si consolida una nuova gioiosa macchina da guerra: un nuovo blocco di conservazione».
Ovvero?
«La vecchia politica. Le maggiori banche. La magistratura. Il sindacato. L’establishment. I grandi giornali.

Vogliono riprendersi tutto!».
E il partito popolare?
«Può essere la nuova rivoluzione liberale. È una iniziativa coraggiosa, può segnare una rottura sarkosyana».
E Capezzone, che farà?
«Se posso dare una mano la do volentieri».

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