In mostra il Goya censurato

«Facce astute, ipocrite, aguzze e malvage come profili di uccelli rapaci... streghe, sabba, diavolerie, bambini arrostiti allo spiedo, che so? Tutte le dissolutezze del sogno, tutte le iperboli dell'allucinazione...». Così scriveva Baudelaire a proposito dei Capricci (Caprichos) di Goya, ottanta incisioni raffiguranti vizi, superstizioni, abusi e menzogne della società spagnola. Messe in vendita a Madrid il 6 febbraio 1799, due giorni dopo venivano ritirate dall'Inquisizione, per impedirne la circolazione. Colpivano tutte le classi sociali, dalle più povere ed emarginate al clero ai nobili, famiglia reale compresa. Nel frontespizio dei Capricci compariva un'immagine-simbolo intitolata Il sonno della ragione genera mostri, che alludeva alla caduta dei valori dell'Illuminismo, testimoniata dai recenti massacri della rivoluzione francese.
In queste suggestive acqueforti di grande formato, esposte alla Galleria Bellinzona di Milano dal 7 settembre (sino all'8 ottobre), Goya esplora una vasta gamma di comportamenti umani. Dalla frivola furberia delle giovani che sperano di accalappiare un marito ricco, alle condotte viziose degli uomini di potere coinvolti in vicende di corruzione, alla vanità dei nobili, spesso mostrati con maschere allusive al loro voler apparire quello che non sono. I Capricci sono satire pungenti e feroci, la cui carica eversiva veniva smorzata, il giorno della pubblicazione, dallo stesso Goya, che li dichiarava semplici stravaganze.

Fustigatore di costumi e grande artista, Francisco Goya y Lucientes, nato a Fuendetodos (Saragozza) nel 1746 da un artigiano decoratore e morto a Bordeaux nel 1828, inizia la sua carriera di pittore a Saragozza. Affermatosi, con la sua pittura caratterizzata da una spregiudicata libertà di osservazione e di esecuzione, diventa nel 1789 «pittore di camera del re».
mtazartes@tiscali.it

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