Erano giovani, ricche, alcune molto belle. Non ancora adolescenti, venivano chiuse in convento, per non disperdere il patrimonio di famiglia. Era negata loro ogni libertà di decisione sul proprio destino: si trasformavano così in donne fragili, costrette a guardare la vita da lontano, accontentandosi di sparuti incontri in parlatoio o dei piccoli privilegi che il sistema monastico attribuiva alle signorine di buona famiglia. Fino all'Ottocento le «malmonacate», ovvero le ragazze fatte ordinare contro la loro volontà, erano numerose. La loro infelice sorte forse sarebbe passata inosservata se Alessandro Manzoni non avesse inserito la storia di Gertrude nei «Promessi sposi». La monaca di Monza, come si sa, esistette davvero: si chiamava Marianna de Leyva e a lei è ora dedicata una mostra nelle sale panoramiche del Castello Sforzesco («La monaca di Monza», fino al 21 marzo 2010, da martedì a domenica dalle 9 alle 17.30). Milanese, per parte di padre nipote del primo governatore spagnolo di Milano e per parte di madre discendente di Tommaso Marino, il banchiere genovese che commissionò l'attuale sede del comune, Marianna finì in convento a Monza: lì conobbe Gian Paolo Osio, che abitava dirimpetto al monastero, e con lui ebbe una decennale relazione. La storia degenerò con l'uccisione da parte dell'uomo di una conversa e di due monache che minacciavano di rivelare la scabrosa vicenda. Durante il processo contro Osio, Marianna confessò sotto tortura la loro relazione e per questo fu murata viva per 13 anni. Fu poi riammessa in convento nel 1622 da «perfetta penitente», secondo le parole del cardinale Federigo Borromeo. Tutta la storia è narrata negli atti del processo conservati nell'archivio della Diocesi di Milano e nelle lettere autografe della «sventurata» (poi pentita) Marianna: sono questi i pezzi più suggestivi della mostra, curata da Lorenza Tonani. Se poi è vero che non esiste alcun suo ritratto dell'epoca, i pittori romantici dell'Ottocento e gli scapigliati trovarono in Marianna-Gertrude una feconda fonte d'ispirazione.
Tra i sessanta pezzi esposti, un ritratto di Hayez, un'incisione di Mosè Bianchi e disegni di Gaetano Previati. L'esposizione si chiude con le foto di scena dell'opera teatrale a lei ispirata, firmata da Giovanni Testori e diretta da Luchino Visconti negli anni SessantaFrancesca Amé
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