Mostre e musei, due realtà in conflitto. Mentre le mostre proliferano e raccolgono migliaia di visitatori, i musei piangono.
Prendiamo, per esempio, quelli fiorentini, che sono tra i più battuti. Gli Uffizi hanno perso, dal 1° gennaio al 30 giugno 2008, 29.168 visitatori, il 3,65 per cento, passando a 798.265 a 769.097. La Galleria Palatina ne ha persi 20.160, il Museo degli Argenti 75.659, e così di seguito sino al Bargello, il più penalizzato, che ha registrato il 20 per cento di calo. Lunica che ha guadagnato un migliaio di persone è stata la Galleria dellAccademia.
Al contrario le mostre non solo pullulano, ma raccolgono masse di visitatori. Tra le più visitate sino a oggi «La Lupa e la Sfinge. Roma e lEgitto dalla storia al mito» a Roma (Castel SantAngelo) con una media giornaliera di 2.531 (su un totale di 225.305); «Correggio» a Parma (Palazzo della Pilotta), con 2.339; «Giovanni Bellini» a Roma (Scuderie del Quirinale) con 1.330, ovvero 30.584 in 23 giorni di apertura; «Coming of age. Arte americana dal 1850 al 1950» a Venezia (Collezione Peggy Guggenheim) con 1.220.
Non sempre laffluenza dei visitatori è indice dellimportanza o utilità di una mostra. Spesso è lesito di unabile campagna pubblicitaria e mediatica, garantita da ricche sponsorizzazioni. Ci sono casi clamorosi di mostre bellissime, ma ignorate. Tra i più recenti, i Lorena a Pisa, che tra laltro è costata parecchio. Ce ne sono altre, come «Turner e gli impressionisti» a Brescia, di qualche anno fa, che ha contato 360mila presenze e «Mondrian» nella stessa città 228mila. Con quali conseguenze? La prima, immediata, è stata che i visitatori dei musei bresciani si sono ridotti da 93mila a 38mila.
Lo sostiene lIcom Italia, la sezione italiana dellInternational council of museums, che il 18 maggio scorso ha approvato a Mantova un documento di accusa contro leccesso di mostre. Secondo una ricerca dellUniversità Bocconi, nel 2006 ce ne sarebbero state 1.600 nella sola Italia. Ma perché questa mania delle mostre? La questione è vecchia. Già nel 1953 Giulio Carlo Argan si poneva il problema: «Ci si è mai chiesti perché le mostre attraggono il pubblico molto più dei musei? Evidentemente perché, nella mostra, la presentazione degli oggetti è più vivace e stimolante, gli accostamenti più persuasivi, i confini più stringenti, i problemi più chiaramente delineati».
Ma allora il fenomeno, che contrapponeva leffimero (mostra) al permanente (museo), era agli inizi, ancora sotto controllo. Oggi ha assunto proporzioni enormi. Sponsor privati e amministratori pubblici preferiscono, per un immediato riscontro, investire nella mostra, più spettacolare e attraente del museo. Secondo Roberto Cecchi, direttore generale per i Beni architettonici e storico-artistici, invece, le mostre non hanno più lappeal di un tempo. Sono troppe, eccessivamente specialistiche o superficiali, con cataloghi massicci e costosi. Inoltre assorbono enormi quantità di denaro, che potrebbero essere destinate ai musei. Recente è il caso della tanto reclamizzata rassegna sui «Tesori del Louvre» a Verona, che doveva aprirsi in autunno e ha dovuto fare marcia indietro, sembra per le cifre troppo alte richieste dai prestatori.
Al di là dei costi ci sono altre conseguenze negative. La continua movimentazione delle opere darte: in questultimo anno in Italia 12mila hanno preso il volo per i luoghi più disparati per essere esposte in 700 mostre, di cui circa la metà allestero.
Ma cè un aspetto ancora più grave o triste, ed è quello culturale: il rischio di una monocultura legata alleffimero. Tutti a vedere le stesse cose, che spesso non hanno niente a che fare con il territorio in cui sono presentate. I musei, invece, deprecati dai futuristi, che però vi attingevano, possono offrire una conoscenza profonda dellarte legata ai luoghi. Ogni museo ha una sua lunga e complessa storia, con testimonianze secolari di grande fascino.
Che fare dunque? Certo, non eliminare le mostre, quando sono ben fatte e di spessore. Ma farne meno, e di qualità. E soprattutto potenziare i musei, renderli vivi, forniti di biblioteche e propri cataloghi aggiornati (spesso oggi inesistenti). Con attività scientifico-didattiche quotidiane e propri eventi.
(1. Continua)
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