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Mostro di Firenze, il caso non è ancora chiuso

Secondo l’accusa «il farmacista di San Casciano» sarebbe il dottore che avrebbe ordinato le uccisioni

Mostro di Firenze, il caso non è ancora chiuso

La controprova non c’è, ma per l’Fbi, che nell’89 scattò una «foto» del mostro di Firenze, serial killer di questo genere spesso smettono di uccidere. La molla che li porta al crimine non scatta più. Per gli investigatori italiani, invece, il silenzio ha una spiegazione evidente: la «cooperativa» di mostri, vicemostri e «compagni di merende» in azione nelle campagne fiorentine fino alla metà degli anni Ottanta, è stata smascherata. E non potrà più colpire. Caso chiuso.
Almeno a livello di manovalanza, perché a frugare e a cercare di snidare un inafferrabile secondo livello sono da anni impegnate le Procure di Firenze e Perugia. La famigerata pistola, la Beretta calibro 22, tace dall’8 settembre 1985. Le inchieste sono in piena ebollizione.
Proviamo a ricapitolare. Piero Pacciani detto il Vampa, il principale indiziato, è morto nel ’98 prima di andare incontro a una condanna definitiva; l’ergastolo si è invece abbattuto sul suo principale aiutante: Mario Vanni detto Torsolo con toscano sarcasmo, a ricordo dell’unica parte della mela che si butta via. Vanni, anche se assai malandato, è il solo degli imputati ad essere ancora vivo. Se n’è andato anche il terzo della compagnia, Giancarlo Lotti a sua volta soprannominato con disprezzo Katanga e condannato a 26 anni, dopo aver balbettato il proprio pentimento e messo a verbale spezzoni di racconti confusi se non improbabili.
I giudici di Firenze hanno risolto così, incollando quelle facce bizzarre e viziose, uno dei più tormentati casi della storia italiana. Sedici delitti firmati dalla stessa pistola e commessi utilizzando sempre gli stessi proiettili serie H Winchester, provenienti da due vecchie scatole. Sedici omicidi feroci, due alla volta. Il primo, l’unico anomalo, a Lastra a Signa il 21 agosto 1968, l’ultimo agli Scopeti l’8 settembre 1985. Le indagini, ammalate di bulimia, non si sono fermate qui. Individuato il network di mostri caserecci, si è cominciato a scavare alla ricerca del livello superiore. A maggio è finita l’inchiesta su uno dei presunti mandanti: l’ex farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei. Per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio. Sarebbe stato il «dottore» che commissionava i delitti. A tirarlo dentro e accusarlo la moglie: una donna schizofrenica che persino i magistrati hanno rinunciato ad ascoltare in aula.
In parallelo Perugia lavora sulla morte del gastroenterologo umbro Francesco Narducci, hitchcochianamente morto due volte. Attenzione. Narducci scompare nelle acque del Trasimeno l’8 ottobre 1985, un mese dopo il dramma degli Scopeti. Il suo cadavere riaffiora cinque giorni dopo: incidente o suicidio? Tutta la Perugia bene partecipa ai funerali di questo giovane e promettente luminare, il più giovane professore associato d’Italia. In realtà la vox populi collega l’uomo al mostro di Firenze. Per il Pm Giuliano Mignini, Narducci era il custode dei feticci, peraltro mai trovati come la Beretta. Ma non ce la faceva più, Narducci, stava per cedere e allora la setta che stava dietro i delitti decise di farlo fuori. Come? Fingendo una morte accidentale, per annegamento. E per riuscire nella diabolica impresa si escogitò il più cervellotico dei sistemi: fu opportunamente ripescato e sommariamente esaminato un altro corpo, mai identificato. Una fotografia scattata quel giorno sul pontile di Sant’Arcangelo di Magione svelerebbe, prendendo come punto di riferimento la larghezza delle doghe, un cadavere più basso di otto centimetri. Poi, al momento del funerale, complici un nugolo di autorità e connivente anche la famiglia, i due morti furono scambiati e Narducci entrò effettivamente nella bara giusta, scoperchiata appunto nel 2002. L’autopsia, stranamente omessa nel 1985, non ha dato chiarimenti certi sulle modalità della morte. Mignini ha acceso i riflettori su almeno sette persone per il delitto, a cominciare dal solito Calamandrei, anche se manca la dimostrazione che Narducci fu ucciso; poi ha indagato un plotone di personalità - a cominciare dall’ex questore di Perugia, dall’ex comandante dei carabinieri e dal medico legale dell’epoca - per depistaggi, falsi, reati di vario genere.

Mignini non ha invece ritenuto rilevante un altro elemento emerso dall’esame del corpo: Narducci faceva uso di meperidina, un oppiaceo sintetico. E se fosse questa sostanza la chiave di violino della storia?

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