Mou stregato dal tango di Lavezzi: «Questo Napoli mi fa paura»

nostro inviato

ad Appiano Gentile

«Qualità, idee, solidità, velocità, creatività, dinamica», è il Napoli visto da José Mourinho. Dovrebbe essere la cartolina della quattordicesima giornata, prima contro terza, forse è solo una forzatura, in fondo il Napoli non sarà la Magica di vent’anni fa quando El Diego fece vincere lo scudetto a Giuliani, Barone e Tarantino, ma neppure il Napoli Soccer che con coraggio e fantasia Aurelio De Laurentiis nel 2004 ha riportato in superficie dopo il fallimento.
Adesso i sudamericani si chiamano Ezequiel Lavezzi, German Denis e Walter Gargano, ma la sregolatezza è Marek Hamsik, uno slovacco capace di tutto, una posizione in campo indefinibile e inversamente proporzionale alla sua vita privata. È lui quello che dà il buon esempio, gli altri sono guaglioni che vivono i loro vent’anni, fanno festa a Posillipo, ore piccole a La Mela, niente di speciale, ma quando chiedono a Mourinho se è lo slovacco il giocatore più imprevedibile di Reja, lui fa: «Quando analizzo l’avversario assieme alla mia squadra, cerco di soffermarmi sulla dinamica globale e come si organizza il gruppo. Quindi non vorrei parlare dei singoli, anche per evitare di aumentare la loro autostima». Molto ingessato. Reja più fluido, ma anche lui ha parlato di gruppo: «L’Inter è la squadra più forte che abbia mai affrontato, lo dico senza incertezze, non ha dei campioni ma dei monumenti». E non si sono fermati agli elogi sui ragazzi, Edy ha pontificato sul polso di José, José sulle capacità di Edy di farsi seguire da tutti. Il Napoli non vince a San Siro da 14 anni, due pappine e tornarono a casa, autorete di Jonk e punizione di Cruz, quello brasiliano. Maradona se n’era già andato, il Napoli venne a San Siro senza un centravanti, ma c’era Vujadin Boskov che faceva il direttore tecnico con Fausto Canè allenatore. Dopo dodici giornate aveva 15 punti in meno del Parma primo in classifica. Finirà settimo con un punto in meno dell’Inter. Fu un successone visto come si erano mese le cose, per l’Inter invece un campionato da dimenticare a 21 punti dalla Juventus campione d’Italia. È una delle controindicazioni di chiamarsi Inter. Domani comunque c’è Zalayeta, fuori Denis dentro il Panterone, pane per Samuel. Con l’argentino in campo l’Inter non ha ancora preso un gol, segato in lista Champions per il grave infortunio, The wall ha saputo girare la sorte: «Fermo un anno? Mi sono allungato la carriera».
Lo scorso anno fece due gol Cruz, l’argentino, El Pampa Sosa segnò per il Napoli a pochi minuti dalla fine e l’Inter prese paura. Era una squadra che doveva lavorare il triplo delle altre per portare a casa i tre punti. Come questa, e Mourinho ha dovuto spiegarne i motivi: «È normale che sia così - ha detto -, vieni a giocare a Milano contro i campioni d’Italia e sai che se segni, se fai una bella parata, se blocchi i nostri attaccanti, domani sarai su tutti i giornali. È la partita che ti fa vivere per un bel po’ senza problemi. Le piccole si chiudono, è stato così col Porto e con il Chelsea, le squadre ci affrontavano con ben altre motivazioni. Il Genoa che ha giocato contro di noi, non è stato lo stesso che è andato a Torino. E poi qui c’è un gruppo che ha appena vinto il campionato e sa che ripetersi è sempre più difficile».
È un po’ che José picchia forte sulle motivazioni e i risultati sembrano proprio dargli ragione, l’Inter alterna una buona prestazione con la più deludente delle partite, e Mourinho vuole guarirla. Contro il Panathinaikos aveva una mezza idea di tener fuori i reduci dell’1-0 con la Juventus, ha ceduto e in tanti l’hanno tradito. Reja comunque l’ha tranquillizzato: «Non verrò a San Siro a fare barricate».
Anche Mou l’ha fatto a modo suo: «Nel girone più semplice di Champions abbiamo vinto la prima ad Atene e ci siamo sgonfiati da soli.

Pensavamo di aver già vinto tutto e così io avevo una gran paura dell’Inter, non del Panathinaikos. La partita siamo stati noi a renderla difficile. Oggi? Non avverto questa paura, ma è colpa del Napoli: sarà lui a renderla difficile».

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