Mou in trincea: «Inghilterra? Resto qui fino al 2012»

Il Josè arabo ha ricevuto un’accoglienza fantastica ed è stato un piccolo trionfo, allora ha alzato il calice e ha promesso il quinto scudetto consecutivo. Poi ha finto di farsi serio: «Mi chiedete come mai non sia mai sbocciato il mio amore per l’Italia? Ma io non ho mai parlato dell’Italia intesa come Paese o popolo italiano. Non sono nessuno per poter fare questi discorsi, no, no, mi riferivo alla stampa italiana». Con la quale esiste una complicità che va oltre gli screzi di giornata: lui ne è diventato protagonista assoluto, di contrappasso le ha consentito di rianimarsi e mostrare corpo unico quando è stato necessario stigmatizzare certi suoi atteggiamenti. Occasione peraltro che ha colto e non si è fatto sfuggire: «Rimango sempre molto affascinato quando mi accorgo che c’è solidarietà in giro». Ci stava prendendo per i fondelli? Qualcuno si è sentito offeso?
Adesso corregge chi ha travisato le sue interviste, rammenta che i suoi detrattori dovranno farsene una ragione perché ha tutte le intenzioni di rispettare il contratto in scadenza nel 2012, e chissà quando lascerà l’Inter, magari nel 2020. Una mezz’ora al caldo di Dubai dedicata ai nemici: «Non li amo i giornalisti italiani, è guerra. Il mio rapporto con loro non è positivo, una guerra persa perché sono in tanti e io sono solo».
Sembra in ritirata invece carica, prima o poi se ne andrà e lascerà una voragine, lo sa, per questo non teme la stampa, e ci gioca e si diverte, a modo suo naturalmente. Infatti non ha intenzione di mollarci a breve in mezzo a una strada a rincorrere i vari strateghi suoi colleghi che ci narrano di diagonali, ripartenze e circolazione della palla alle undici e mezza di sera, dopo una notturna e i quotidiani a mezz’ora dalle rotative. «Fin dal giorno in cui me ne sono andato dal Chelsea ho detto che sarei tornato in Premier league e non ho cambiato idea. Pochi giorni fa però ho anche spiegato che sarei rimasto all’Inter fino al 2012, ovvero alla fine del contratto. La realtà è che si preferisce sottolineare che tornerò in Inghilterra piuttosto che sottolineare che resterò a Milano fino al 2012. È vero, ho detto che un giorno tornerò là, e ne sono sicuro. Ma non so se sarà nel 2012 o nel 2020. Io a Milano sto bene». La stampa è il suo passatempo preferito appena ha capito che prendiamo tutto molto sul serio. A quel punto ha iniziato a divertirsi sul serio anche lui. Con i suoi bravi alti e bassi, per carità, certi giorni non aveva proprio una bella faccia, neppure troppa voglia di scherzare, smagrito e pallido, ma a domanda rispondeva: «Nessuna questione extracalcistica». Quindi tutti a scrivere che aveva problemi in famiglia. I giornalisti sempre più suoi complici involontari: «Ma con loro posso perdere una guerra, non la mia personalità, la mia indipendenza, la mia libertà di pensiero. Non sarò mai un lecca... qualcosa... come usate dire voi. Dirò sempre quello che penso».
Nel frattempo è riuscito a parlare di calcio, peraltro non avrà Eto’o alla ripresa del campionato: «Nel 2009 abbiamo vinto il campionato, la competizione della verità perché dura 38 partite e 11 mesi. La Champions invece è la competizione dei dettagli, la fortuna gioca un ruolo importante. È vero, bisogna cercarsela, guadagnarsela, ma nell’arco di un campionato infortuni, squalifiche ed errori degli arbitri non incidono, in un turno a eliminazione diretta di Champions, sì. Comunque se mi dicessero che il 2010 sarà come il 2009, ne sarei contento».

Un pensiero anche alla curva perché spera di poter replicare con i tifosi nerazzurri il gesto dedicato a quelli del Chelsea, ossia il dono della medaglia ricevuta dopo la vittoria nella seconda Premier di fila: «A Stamford Bridge il pubblico ci ha sempre dato un grande apporto e quella medaglia era un modo per ripagarli, una forma di rispetto nei loro confronti. Se vinceremo lo scudetto farò lo stesso con la curva Nord dell’Inter per dimostrare loro il mio rispetto». Per ora è come l’Inter, dietro c’è il vuoto.

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