Il movente mostruoso: «Il piccolo Samuele ucciso per un capriccio»

La Cassazione prova a ipotizzare il perché dell’omicidio. E spiega: «Ha agito in preda a uno stato passionale momentaneo»

L’ANALISI DELLE MACCHIE
È la «bloodstain pattern analisys». Gli avvocati ritenevano che fosse stata impiegata con criteri non scientifici. La Cassazione invece conferma la bontà del metodo usato: «Relativamente innovativo, ma solo per il nostro paese e per la nostra pratica giudiziaria risulta, invece, il metodo essenzialmente combinatorio, in base ad esse costruito, ma deve escludersi che i giudici (come ancor prima il gup) abbiano omesso di motivare circa la sua riconosciuta validità scientifica e pratica».
IL PIGIAMA
Se l’esame delle macchie trovate sul piumone e sul pigiama è stato eseguito in modo corretto, allora devono essere accettati i risultati di quel lavoro. Risultati che inchiodano la Franzoni: «Sulla base dei risultati della perizia... i giudici di appello sono pervenuti alla conclusione, in ciò condividendo l’opinione del primo giudice, che l’indagine effettuata con impiego della Bpa avesse consentito di acquisire la certezza processuale (risultato di prova) della circostanza che l’assassino sicuramente indossasse, durante l’esecuzione dell’azione omicidiale, i pantaloni del pigiama appartenenti alla Franzoni». Non basta: «Sottoposti a rigorosa disamina gli esiti delle indagini espletate sul medesimo tema dai tecnici del Ris, la corte territoriale... ha ritenuto, altresì, provato... che l’aggressore indossasse, nella circostanza, anche la casacca del medesimo pigiama».
Gran parte della condanna si gioca su questi elementi tecnici.
GLI ZOCCOLI
La Bpa chiude il conto anche per il capitolo zoccoli. «Analogamente deve concludersi, per gli stessi motivi, che l’omicida indossasse anche gli zoccoli marca Fly Flot della Franzoni, posto che... è stato acquisito come certo che le contaminazioni ematiche da calpestio esistenti sotto le suole si sono formate nell’immediatezza del gesto criminoso, quando dette macchie erano ancora fresche e non si era verificato il loro essiccamento». Ricapitolando: per la Cassazione l’assassino indossava i pantaloni e la casacca del pigiama di Annamaria Franzoni, calzava inoltre i suoi zoccoli.
LA BUGIA SUGLI STIVALETTI
Nel momento in cui dà l’allarme, la mamma di Cogne calza gli stivaletti. Che è successo? Per la Cassazione, il cambio di calzature è certo e fa parte di quella strategia per costruirsi un alibi e confondere le idee agli investigatori. «L’unica ipotesi residuale possibile è stata coerentemente ritenuta quella che dette calzature fossero indossate in occasione dell’esecuzione dell’omicidio, avendo poi l’esecutore avuta l’accortezza di togliersele dai piedi nel tragitto compiuto per raggiungere il piano superiore, lungo il quale non furono rinvenute a terra tracce ematiche, sino alla loro ordinata collocazione nell’antibagno, dove furono da ultimo rinvenute».
L’ARMA NON È UN SABOT
La difesa si era attaccata anche ad una macchia trovata sul piumone. Quelle gocce erano forse la firma del delitto, ovvero erano riconducibili ad un sabot, lo zoccolo valdostano? No, per la Cassazione. Inutile perdere tempo «sulla traccia ematica presente sulla parte interna del piumone onde verificare l’eventualità della sua riconducibilità ad un sabot, attesa la natura meramente congetturale dell’ipotesi formulata dal consulente della difesa Torre circa l’identificabilità dell’arma del delitto in uno oggetto del genere, ragionevolmente esclusa in base al rilievo, su cui anche i consulenti della difesa hanno convenuto, che l’arma dovesse consistere in un oggetto agevolmente impugnabile e dotato di manico di una certa lunghezza onde consentirne il brandeggio e giustificare gli schizzi di sangue dallo stesso lasciati sul soffitto della stanza». Dunque, anche l’ipotesi del sabot, che avrebbe fatto pensare ad un estraneo, cade. E si torna dalle parti del mestolo o del pentolino, oggetti ipotizzati dai giudici e provenienti, forse, dalla cucina di casa Lorenzi.
L’ORA DELLA MORTE NON C’È
Purtroppo, nota la Suprema corte, non è stato possibile fissare con certezza il momento della morte. Cronometro alla mano è però impossibile immaginare un assassino estraneo: «L’unico spazio di tempo in cui l’omicidio potrebbe essere stato commesso da un terzo estraneo è quello costituito dai pochi minuti (variabili fra i 5 e gli 8) in cui la Franzoni si assentò per accompagnare il figlio Davide alla fermata dello scuolabus (spazio, come si è visto ulteriormente e sensibilmente riducibile perché l’ipotetico estraneo potesse raggiungere l’abitazione ed allontanarsene senza essere visto dalla prevenuta). Avendo, tuttavia, i giudici di merito assunto per certo che l’aggressore indossava il pigiama e gli zoccoli della Franzoni, gli stessi hanno, conseguentemente, escluso che quel già ridottissimo margine di tempo potesse consentire ad un terzo di penetrare nell’abitazione, localizzare la vittima (che non si trovava nel suo lettino), indossare il pigiama dopo essersi spogliato dei propri abiti, dismettere lo stesso, rivestirsi ed allontanarsi dopo aver rimesso a posto gli zoccoli».
IL MOMENTO DELL’OMICIDIO
È «comprovata la circostanza che l’imputata rimase sola in casa dopo l’uscita del figlio Davide, il quale, in base a quanto definitivamente accertato in punto di fatto nelle precedenti istanze e contrariamente alle più recenti dichiarazioni, ritenute mendaci, della madre, procedette costei di alcuni minuti e non assistette al trasferimento del fratello nel letto matrimoniale (donde la ricostruzione dell’omicidio come del tuto verosimilmente eseguito proprio nell’intervallo di tempo fra l’uscita di Davide e quella della prevenuta) e per la mai giustificata scomparsa di uno dei calzini bianchi certamente già indossati dalla donna, posto che uno solo ne venne rinvenuto in casa, sporco del sangue della vittima». Dunque, l’omicidio sarebbe avvenuto fra le 8 e le 8.16 del mattino, quando Annamaria e Davide s’incamminarono verso lo scuolabus.
IL MOVENTE
Non è stato individuato con certezza. Si suppone «che la donna abbia reagito a qualche capriccio del bambino ed abbia agito in preda ad uno stato passionale momentaneo».
LA PERIZIA PSICHIATRICA
I periti dell’appello avevano ipotizzato che la Franzoni soffrisse di un disturbo: lo stato crepuscolare orientato. I giudici però non ne hanno tenuto conto. Un errore? No, per la Cassazione: «La diagnosi è stata formulata non in termini di conclusiva certezza ma unicamente come ipotesi maggiormente plausibile e con la verosimile presenza, in costei, di un conflitto interiore, il cui polo nascosto poteva essere costituito dalla preoccupazione nutrita per la salute di Samuele, a seguito, peraltro, della puntualizzazione che le personalità, come quelle della Franzoni, affette da disturbi d’ansia... non rientrano in quanto tali nel novero dei soggetti classificabili come affetti da vizio di mente... I giudici d’appello hanno maturato il convincimento della piena imputabilità della Franzoni, ascrivendole il compimento di atti preordinati alla propria difesa, primo dei quali l’eliminazione o la ripulitura dell’arma del delitto». La Franzoni ha ucciso «con razionale lucidità». Ed è congrua la pena, «essendo state valutate anche le modalità particolarmente efferate de gesto criminoso: sono almeno 17 i colpi inferti al bambino».


I MEDIA
I media hanno cavalcato la vicenda e questo interesse, «in larga parte è stato ricercato, propiziato ed utilizzato dalla stessa Franzoni. L’interesse mediatico... non si è mai risolto in un decremento delle facoltà difensive della Franzoni, ma piuttosto nel suo contrario, ampliandone gli spazi di garanzia».

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