Il Mozart di Lang Lang secondo Pappano

È l’ultima moda, non solo tra i teenagers, lanciata dal libro-cult di Federico Moccia per sancire un legame che si vuole indissolubile

Giacomo Bondi

«Nicoletta e Federico. Per sempre». La data è 8 agosto 2006. La frase è posta su un lucchetto di una delle tante catene che da mesi ormai fasciano il terzo lampione di Ponte Milvio, sul parapetto rivolto verso la foce del Tevere. Qui, dove il 28 ottobre 312 la vittoria di Costantino contro Massenzio segnò l’inizio di una nuova era per l’impero romano, il palo di ghisa si è trasformato in un ricettacolo di storie, racchiuse in un aggancio di metallo la cui chiave, dopo essere stata baciata dalle coppie, viene lanciata in acqua. Il segreto è proprio questo: suggellare un amore e affidarne le chiavi al destino, allo scorrere delle acque del grande fiume amico che porta nel tempo i ricordi e le speranze di chi percorre insieme un tratto di strada nell’avventura del tempo.
Così la leggenda metropolitana vuole che se vai lì, chiudi un lucchetto e lanci la chiave al Tevere, starai per sempre con la persona amata. Pegno d’amore, ricordo o promessa, i lucchetti a Ponte Milvio sono ormai centinaia. Grandi e piccoli, a scatto e a pressione. A molla trasversale o a tamburo. Talismanici e soprattutto a prova di forzature. Su uno di essi, appeso su una grande catena di ferro che disegna collane di Venere alla fioca luce del lampione, c’è anche un fiocco rosa, senza messaggi. Un altro, invece, legato con nastro rosso, dice: «Al sei speciale». E un altro ancora: «Antonello sei la mia vita».
Ce ne sono però anche di più articolati. Come un grosso lucchetto che campeggia da una catena verde ultrasicura piazzata giusto al centro del «palo dell’amore», che reca la scritta: «Una vita, un’anima, un cuore». Chi l’ha detto, poi, che la pratica del lucchetto dell’amore sia appannaggio solo dei teenagers? A smentire che ci siano solo legami giovani ecco allora una scritta, pennarello su acciaio, che rivela: «Da 25 anni insieme. Per la nostra famiglia bella. Ilario e Tina». Mentre un’altra storia «serrata» e senza dubbio romantica, dice: «Quando insieme abbiamo aspettato l’alba». Ma sul vecchio ponte ci sono anche i cuori trafitti, i messaggi dei ritorni e delle attese, che sulle tavole di carne del cuore danzano sempre ineguali. E su quel tratto di pietra, conosciuto nel medioevo come «ponte Mollo», parlano di notti dolci o di telefonate fiume con l’altra metà della mela. Come se quell’angolo di Roma potesse davvero compiere magie. Alcuni lucchetti, poi, hanno fogge antiquate.
Le loro serrature sono veri e propri «scrigni» del sentimento che ormai si stanno estendendo a tutto il ponte, occupando il lampione di fronte al vero «totem» dell’amore, anche in questo caso sempre il terzo, quello che guarda verso la stadio Olimpico. E cominciano a comparire anche sulla grande catena attraverso la quale si accede all’isola pedonale.
C’è chi giura, e diversi lucchetti ne richiamano l’ipotesi, che la leggenda abbia origine dal fortunato libro di Federico Moccia, «Ho voglia di te», testo cult dei giovanissimi. In quelle pagine, infatti, i due protagonisti si giurano amore eterno proprio agganciando un lucchetto al palo. La storia dei lucchetti di Ponte Milvio ricorda da vicino anche quanto accade a Firenze con la statua di Benvenuto Cellini, su Ponte Vecchio. Il monumento più volte è stato ripulito da centinaia di catene e sigilli d’amore lasciati da giovani innamorati che poi buttano la chiave in Arno. Almeno fino allo scorso gennaio, quando il sindaco del capoluogo toscano, Leonardo Domenici, ha ordinato la rimozione di quasi 5.000 «messaggi d’acciaio» sulle catene, non mancando di istituire una multa di 50 euro per gli amanti-trasgressori.


Qui, invece, è il segno di qualcosa che solo il lampione conosce, insieme al fiume. Una «Muccinata», diranno i maligni. Intanto, la catena si ingrossa giorno dopo giorno di pensieri e acciaio. E i lucchetti, in fondo, parlano solo d’amore. Che male c’è?

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