Verona - Venezia, Verona, Firenze. E presto anche Roma e Ravenna. Dopo i lavavetri, la guerra dei sindaci per il decoro delle città e contro il racket organizzato ha un nuovo obiettivo: i mendicanti. Le ordinanze anti-elemosina si moltiplicano e le polemiche anche. Perché qualcuno considera le nuove misure un segno di civiltà e altri uno schiaffo agli ultimi. Ieri il cardinale Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio per i Migranti, dalle pagine del Corriere della Sera, ha definito «l’elemosina un diritto» e la sua proibizione «inaccettabile». Eppure a Verona i mendicanti rischiano cento euro di multa e la confisca del denaro raccolto «illecitamente». Per monsignor Giuseppe Zenti, vescovo della città, si tratta «di un primo passo per debellare il racket», ma vietare l’accattonaggio - precisa - «non è la risposta ultima».
Monsignore, quindi non è una questione «di puro decoro urbano», come sostiene qualche sindaco?
«Il decoro credo c’entri ben poco. Ci sono molte altre situazioni indecorose che spesso vengono determinate da chi vive in giacca e cravatta. Il no è all’accattonaggio (la richiesta di elemosina per mestiere, ndr), che spesso lambisce i confini del reato, soprattutto quando si impiegano i minori».
Ma così non si nega aiuto a chi ha bisogno?
«Il problema non è quello di negare l’aiuto, perché è fuori di dubbio che esso va dato. Il povero interpella la coscienza di tutti, credenti, amministratori, politici».
Qual è allora il problema?
«Si tratta piuttosto di vedere in quale modo soccorrere questi fratelli, in modo da restituire loro dignità. Chi pratica l’accattonaggio vive in una condizione umiliante, non degna di un essere umano. L’accattonaggio, dove si radica, denuncia uno stato di degrado del vivere civile. È una piaga sociale che comunque va scoraggiata».
Quindi è necessario distinguere fra chi approfitta della generosità altrui e chi ha realmente bisogno?
«È il punto di arrivo cui dobbiamo puntare».
Ma l’elemosina è ancora un buono strumento in mano ai cittadini per aiutare i poveri?
«È un dovere, perché anticipa le istituzioni, che hanno sempre tempi organizzativi più lunghi. Il problema è di farla in maniera intelligente e non per sgravarsi la coscienza».
Un buon cristiano dovrebbe quindi preoccuparsi del destino della propria elemosina?
«La prima preoccupazione davanti ai poveri è di provvedere ai loro bisogni in maniera sapiente e intelligente. Che vuol dire affidare le persone in difficoltà alle istituzioni civili ed ecclesiali perché trovino una risposta ai loro bisogni».
E i laici?
«L’importante è non dimenticarsi che ci sono fratelli più sfortunati. Se c’è questa sensibilità, i canali di intervento sono infiniti».
Anche frugare nei cassonetti potrebbe essere proibito.
«Pensare a un fratello che rovista fra la spazzatura mi sconvolge, non per ragioni estetiche ma di dignità. Sono i cani che vanno a cercare gli avanzi e non possiamo accettare che nessun fratello si abbassi a tanto».
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