Giganti tra i giganti, le multinazionali dellenergia dominano la scena economica internazionale. Da sempre. Tentacolari, forti di flussi di cassa enormi e dunque indipendenti dal credito bancario, ma non per questo sensibili agli investimenti in ricerca e sviluppo e allaumento degli organici, costituiscono un fenomeno atipico rispetto agli altri colossi mondiali. Che nessuno può permettersi di trascurare. A questa regola, infatti, non si sottrae Mediobanca: lindagine 2010 di R&S sulle 374 big company è focalizzata proprio sul ruolo che le major energetiche stanno recitando nel curare le ferite lasciate dallannus horribilis 2009.
Più che di gruppi energetici in senso lato, meglio sarebbe comunque parlare di compagnie petrolifere. Tra le 10 più grandi multinazionali del mondo per capitale investito (con Toyota che resta saldamente al comando), il settore ne colloca ben cinque (Royal Dutch Shell, PetroChina, Petrobras, ExxonMobil - prima per capitalizzazione - e, naturalmente, la chiacchieratissima Bp). Litaliana Eni occupa il tredicesimo posto (in calo di una posizione). Ebbene, nei primi tre mesi dellanno in corso, il fatturato delle società energetiche è cresciuto del 46% rispetto al periodo gennaio-marzo 2009, contro lincremento del 22% registrato dallintero campione. Una velocità più che doppia dovuta a una sola, quanto evidente, causa: laumento dei prezzi del greggio. Se tale dinamica continuerà, questi big player - che negli ultimi 10 anni hanno visto lievitare i ricavi del 131%, ridotto del 7,7% il numero dei dipendenti e destinato appena lo 0,3% del fatturato alla spesa per R&S - riassorbiranno molto più rapidamente gli effetti di una crisi costata nel 2009 alle multinazionali un calo medio del giro daffari attorno al 20%. Con ripercussioni più evidenti in Europa, dove il rapporto tra utili e ricavi è arretrato al 4,3% rispetto all8,5% del Nordamerica. Il Roe (il ritorno sugli investimenti) dà ancor meglio lidea del fenomeno: qui la forbice si è dilatata, con un 9,5% per le imprese Ue e un 20,3% per quelle Usa. Segno di una maggiore efficienza e reattività da parte delle multinazionali americane, con ricadute positive sulla fiducia degli investitori. Ma anche di una minor solidità finanziaria dei gruppi europei: il rapporto patrimonio-debiti è di uno a due contro luno a uno delle multinazionali a stelle e strisce.
Questo fenomeno riguarda anche lItalia, dove la dotazione di mezzi propri è inferiore alla media. Nel nostro Paese, inoltre, si avverte in modo netto la presenza del settore energetico: è pari al 40% del fatturato totale e pesa per il 21% sul Pil (9% la sola manifattura). LEni, come detto, occupa infatti la posizione migliore (la tredicesima) tra le italiane quanto a valore dellattivo, mentre è più lontana come capitalizzazione (25esima). Nel 2008 era rispettivamente alle posizioni numero 12 e 18. Il nostro Paese ha un ruolo più importante però in alcuni settori specifici. Telecom Italia, che nella classifica solo italiana è in quarta posizione dietro Fiat, è allottavo posto fra le tlc per valore dellattivo, ma solo al sedicesimo per capitalizzazione. Enel è il numero uno al mondo nelle utility per valore dellattivo, scavalcando i francesi di Gdf-Suez, ma scende al quinto posto in termini di capitalizzazione.
Multinazionali in ripresa nel 2010 Le big del petrolio tornano a volare
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