Muore nell’auto che travolge due operai in un cantiere

Credo che una delle aberrazioni italiane degli ultimi anni siano le «quote rosa». Ma non perchè ce l’abbia con le donne, tutt’altro. Il problema è che qualsiasi tipo di quote - le quote giovani, le quote azzurre, le quote rosa, le quote gay, le quote pelati o le quote capelloni - sono una solenne scemenza.
Se uno è bravo, dev’essere eletto in quanto bravo. E non in quanto donna o qualsiasi altra cosa. Anzi, credo che i primi ad offendersi dovrebbero essere coloro che sono formalmente preservati dalla norma. Insomma, se fossi una donna, mi offenderei anche solo per la previsione della «quota rosa». E il fatto che in politica sia invece ritenuto un gran valore è solo l’ennesima conferma della degenerazione della politica, un po’ come le liste bloccate di una vergognosa legge elettorale, studiate per mandare a Roma fedelissimi che obbedissero agli ordini dei capipartito che li avevano messi in lista. Risultato: Gabriella Mondello dal Pdl all’Udc, Enrico Musso dal Pdl al misto e poi al gruppo Udc in quota Pli, Claudio Gustavino dal Pd al Misto-Api prima e all’Udc, poi.
Aperta parentesi: lo charme di Rosario Monteleone e di Pierferdinando Casini dev’essere irresistibile, visto che, se in Parlamento hanno fatto il pieno, in Provincia sono riusciti a passare da un eletto a quattro, prendendosi due esponenti dell’ex Ulivo e un leghista, e in Comune, pur avendo perso l’unico eletto nelle liste Udc, ne hanno racimolati tre fra le file del centrosinistra. Insomma, quella degli eletti Udc va meglio della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Chiusa parentesi.
Insomma, ritengo le quote rosa offensive. Per gli uomini, ma soprattutto per le donne, trattate come panda da preservare per legge. Una scemenza totale inventata dal centrosinistra e scimmiottata dal centrodestra, con tanto di invenzione del ministero delle Pari Opportunità, creato soprattutto per dare l’opportunità a uno in più di fregiarsi del titolo (e delle strutture, e del personale, e degli emolumenti) che spetta a un ministro. E la norma che approverà martedì il Senato, con sommo gaudio delle donne della maggioranza, per riservare alle femminucce il 30 per cento nei posti dei consigli di amministrazione pubblici, va nella stessa direzione.
Ecco, come spesso succede a Genova, le peggiori soluzioni sono immediatamente copiate e Marta Vincenzi, in nome di «Genova Comune più rosa d’Italia», ha lanciato l’idea dell’introduzione della quota rosa del 40 per cento nei consigli di amministrazione delle società partecipate dal Comune.
Per la demagogia, è perfetta. Per la logica, invece, sarebbe meglio dire che ci si mette gente brava: se poi sono donne, come è capitato con Renata Oliveri per il centrodestra, per Francesca Balzani al Bilancio o per Sara Armella alla Spim per il centrosinistra, meglio. Ma perchè sono brave, non perchè sono donne.
Insomma, per l’ennesima volta, a Tursi, volevano far finta di far la rivoluzione. E invece hanno fatto solo l’ennesimo esercizio di conformismo.

Senza rendersi conto che la vera rivoluzione sarebbe stata la soppressione di molte partecipate, come è stato già fatto (occorre riconoscerlo, dando a Marta ciò che è di Marta) con alcune delle scatole vuote create nel secondo mandato di Beppe Pericu.
Ma tagliare poltrone è più difficile che dire che le si colora di rosa.

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