Sopracciglia marcate, borse sotto gli occhi, labbra serrate, mascella volitiva, lineamenti duri stemperati dalla ricercata «morbidezza» di una pelle adulta segnata da più o meno evidenti rughe, pomo dAdamo ben delineato: in una commistione di classicismi ed elementi del gotico francese, dettagli minuziosamente raffigurati e non-finito. Stiamo parlando della statua di Carlo I dAngiò - raffigurato seduto sul faldistorio, trono pieghevole senza schienale, affiancato da leoni. Una statua che ha visto la luce tra il 1275 e il 1277. Ne è artefice Arnolfo di Cambio.
E proprio questa statua ha tutti i titoli per divenire la «primadonna» della Sala del Medioevo, inaugurata ieri ai musei Capitolini al primo piano del Palazzo dei Conservatori.
Considerato dagli storici dellarte primo «ritratto» scultoreo moderno, il monumento al re angioino, per tre volte Senatore di Roma, dopo dodici anni torna finalmente ad essere visibile al pubblico.
Esposta fino al 1997 in una nicchia sullo stesso piano, che, distaccata dal principale percorso di visita, la relegava di fatto a sguardi «di passaggio», lopera, in occasione dei lavori di ristrutturazione dei musei, dodici anni fa, è stata spostata nei depositi museali dove, salvo la parentesi di unesposizione fiorentina nel 2005, è stata conservata - e chiusa - fino a oggi.
La sua restituzione al pubblico coincide con il recupero degli spazi dellantico Archivio Capitolino, anche questo chiuso dal 97, adessi riaperto grazie agli introiti dellaffitto di alcune sale museali per riprese cinematografiche. «La stanza cinquecentesca - spiega Claudio Parisi Presicce, direttore dei musei Capitolini - fino allUnità dItalia è stata sede dellArchivio, come dimostra la mancanza di affreschi sulle pareti, occupate dagli scaffali. Da allora è stata usata in vario modo, come sede della donazione Castellani, poi della collezione Pecci. Dal 1928, con lapertura di una porta sulla parete di fondo, è diventata un passaggio. Nel 97 la porta è stata richiusa e la sala ripristinata, ma non è stata più impiegata».
Oggi lo spazio ospita, quindi, la statua di Carlo dAngiò in un allestimento che mira a valorizzarne la concezione originaria. Ricavata dal frammento della trabeazione di un edificio antico, la scultura era un elemento architettonico lavorato secondo un preciso «criterio di visibilità», che prevedeva un unico punto di osservazione - era probabilmente ancorata a due metri di altezza - come è testimoniato dal non-finito di alcuni punti. Faceva parte di un più complesso monumento di cui è giunto fino a noi solo il frammento - esposto in sala - dellaltorilievo di un «Trombettiere», che doveva essere posto su un arco a ribadire lautorità del senatore.
Lintero allestimento punta lattenzione proprio sui simboli del potere. Si comincia dallepigrafe che ricorda il restauro, decisamente invasivo, effettuato da Sisto IV: lintervento «corresse» la posizione delle mani della statua, che in origine stringevano scettro e globo - così ricordati per assenza - dando alla figura una postura interlocutoria, smussò i panneggi, tolse le tracce della colorazione originaria e gli ori della corona.
In mostra pure quattro unità di misura di olio - usate anche per granaglie - e di vino, a ricordare i dazi stabiliti e la presenza nell'area di un mercato, oltre al pannello cosmatesco con scene della vita di Achille, opera di Lorenzo di Tebaldo e il figlio Jacopo, proveniente da Santa Maria in Aracoeli.
Completerà il percorso, da ottobre - ora è in prestito per una mostra in Germania - il globo dell'Obelisco Vaticano che, secondo la tradizione, conteneva l'urna con le ceneri di Giulio Cesare.
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