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"La musica fa le cose. Crea il cambiamento e influenza i potenti"

L'etnomusicologo Philip Bohlman riceve il Premio Balzan: "Mai così tanta globalizzazione fra le note"

"La musica fa le cose. Crea il cambiamento e influenza i potenti"

Il nazionalismo? «La musica esprime con forza quello europeo. Questo anche in Italia, attraverso le opere di Verdi e con la vittoria della band Maneskin all'Eurovision Song Contest 2021». Musica, etnia e incontri coloniali, un suo pensiero... «Pensando a un'area in cui concentrare l'ascolto, questa sarebbe probabilmente l'ascesa della musica rap e hip-hop in certe aree di incontro. Diversi cantanti affrontano questo, Beyoncé negli Usa e Fairuz in Libano». E ancora, i suoi studi sulla musica nei lager. «Lavoro instancabilmente per trovare, analizzare ed eseguire quella musica; opere, cabaret, jazz, era musica per la sopravvivenza».

Benvenuti nel mondo dello studioso americano Philip Bohlman. Anche a lui, quest'anno, viene assegnato il Premio Balzan, come a dire che, per la prima volta viene messa in primo piano, nell'ambito di questo prestigioso riconoscimento, l'Etnomusicologia, quella parte della musicologia che studia le tradizioni musicali orali di tutti i popoli. Bohlman, alla vigilia della consegna del Premio - che avverrà oggi all'Accademia nazionale dei Lincei di Roma - ha accettato di rispondere a qualche domanda.

Professor Bohlman, la motivazione del Premio Balzan indica diversi temi sui quali lei è impegnato, per esempio musica e globalizzazione: qual è il suo parere, dove stiamo andando?

«La globalizzazione della musica diventa ogni anno maggiore man mano che le nuove tecnologie rendono sempre più comune lo scambio di repertori. La circolazione delle registrazioni all'inizio del XX secolo è stata sostituita dalla circolazione dei file audio digitali. C'è più diversità nelle musiche globali oggi che mai nella storia».

Lei si occupa anche dell'intersezione tra musica e religione.

«L'intersezione tra musica e religione è così potente che a volte sostengo che tutta la musica è religiosa in un modo o nell'altro. La musica può servire a rituali religiosi di base e culto, ma può anche esprimere i sistemi di credenze di intere culture, persino nazioni. Ci sono stati compositori della musica classica, come Bach nella classica europea e Thyagaraja nella classica dell'India, che hanno composto musica sacra quasi interamente. Musica e religione si intersecano come il suono di movimenti politici, siano essi conservatori, come l'Hindutva in India, o liberatori, come nei grandi inni di protesta contro l'apartheid in Sudafrica».

I suoi studi sulla musica ebraica nei tempi moderni?

«Non è solo un repertorio o un suono o una funzione sociale: la musica ebraica è intimamente parte della vita delle famiglie e dei cicli di vita ebraici e unifica il culto nelle sinagoghe. La musica ebraica è anche profana, qualcosa che molti riconosceranno nel suono della klezmer, la musica strumentale popolare nei movimenti di rinascita di oggi. Ascoltiamo grande musica ebraica nelle tradizioni sinfoniche, si pensi a Mahler e al jazz, negli Stati Uniti così come nelle tradizioni jazz della diaspora ebraica di Baghdadi in India e Cina».

La mente va anche a quel che successe nei campi di concentramento: quali le sue osservazioni?

«C'era una grande varietà e c'era molta bellezza in quella musica. Furono composte opere e cabaret, si mettevano in scena musica popolare e jazz. Due dei compositori dei campi le cui opere apprezzo molto sono il grande cantautore di cabaret, Leo Strauss, e Viktor Ullmann».

Un altro grande tema è «musica e dittature».

«Poiché la musica influenza, ha sempre il potenziale per un impatto politico. Ciò può anche significare che dittatori e governi fascisti abusino della musica, usandola per opprimere. La questione penso che sia più complicata che parlare di arte o manipolazione. Sappiamo che Wagner era apertamente antisemita e la sua musica è stata manipolata dai nazisti, ma ha creato una grande arte».

Ora a che cosa sta lavorando?

«Ho diversi progetti, anche di libri dedicati all'Eurovision Song Contest, alla religione e alla musica».

Può suggerire degli ascolti etnomusicologici per chi vuole saperne di più?

«Ci sono stati diversi progetti di pubblicazione di musica mondiale molto importanti negli ultimi sessanta, settant'anni, e ascoltarli potrebbe essere arricchente. Diversi sono stati i progetti dedicati alla musica italiana, ad esempio le registrazioni di Alan Lomax che Goffredo Plastino ha curato (Rounder Records, ndr). L'Unesco ha sponsorizzato una serie di registrazioni da tutto il mondo, e queste sono eccellenti. L'Us American Smithsonian Institution ha pubblicato registrazioni provenienti da diverse regioni, sempre curate dai migliori etnomusicologi».

Note e guerra, che tipo di cambiamenti legati alla tragedia dell'Ucraina?

«L'invasione russa dell'Ucraina ha generato una notevole risposta nella musica. Per prima, la vittoria dell'Ucraina all'Eurovision 2022. Assistiamo alla sovranità dell'Ucraina come nazione nella sua musica, dalla musica folcloristica alla musica classica alla musica popolare. Gli scambi internazionali con i musicisti ucraini sono diventati le discussioni più importanti sulla musica nel tempo presente».

Dove sta andando la musica? Come sarà il futuro?

«Gli etnomusicologi credono fermamente che la musica fa le cose. Crea cambiamento e promuove la comprensione e il dibattito. E scatena la bellezza. Al momento attuale, la musica ha una presenza intensa nel mondo, soprattutto esprimendo la diversità, e credo fermamente che la musica in tutta la sua diversità avrà una presenza ancora più forte».

La sua prossima sfida?

«Sarà il progetto Borderlands of Sonic Encounter.

Il Premio Balzan mi permette di lavorare con colleghi di tutto il mondo per esplorare la presenza e l'impatto della musica nelle terre e nelle regioni di confine, quelle aree dove troviamo migranti e rifugiati, e dove la cultura e la sopravvivenza sono più precarie».

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