Passo dopo passo Irene Fornaciari spicca il volo. Il sesto posto a Sanremo con Il mondo piange è figlio di una lunga marcia di avvicinamento al successo con un passaggio l’anno prima, sempre al Festival, nella sezione «Nuove proposte», con il concerto «Amiche per l’Abruzzo» e con il primo album Vertigini in fiore di tre anni fa. E ora un lungo tour da solista, condito da alcuni spettacoli con i Nomadi, che le hanno fatto da padrini anche a Sanremo. Bella forza, dirà qualcuno, è la figlia di Zucchero, che nel 2004 se l’è portata sul palco della Royal Albert Hall per duettare in Like a Sun. Sai che fatica... «Invece è tutt’altro che facile - sottolinea Irene -. È vero che con il mio cognome è stato più facile aprire certe porte, però è un cognome pesante da portare. Tutti fanno paragoni e per me è difficile essere me stessa. La gente deve ancora conoscermi per quello che sono».
Ovvero?
«Molti hanno pregiudizi, pensano che sia una figlia di papà viziata, io invece sono una ragazza tranquilla che vuole crescere con la sua musica. Il concerto è il vero banco di prova, ora il pubblico conosce le mie canzoni, viene ad ascoltarmi per il mio stile».
Come definisce questo stile?
«Uno stile senza radici; in ogni genere c’è qualcosa che mi colpisce. Soprattutto amo le grandi voci nere: Aretha Franklin, Stevie Wonder. Il mio sogno è un duetto con Tina Turner, sarebbe l’apice della mia carriera».
Papà Zucchero sarà intervenuto nella sua formazione musicale.
«Da piccola davo per scontato di avere un papà musicista e non ci facevo caso; poi ho addirittura ignorato le sue canzoni, non mi dicevano nulla. Ho scoperto da sola gli album di Janis Joplin e Billie Holiday... E alla fine ho scoperto anche quelli di papà».
Cioè?
«All’improvviso ho capito la forza che c’era in dischi come Blues o Oro incenso e mirra, ho scoperto che lui era avanti, osava mentre gli altri all’inizio lo massacravano; gli dicevano “ma dove vuoi andare con quella voce?”. Nei primi dischi lo facevano cantare in modo dolce e melodico ma non piaceva neppure a lui, infatti ha mollato tutto. Anche mia madre era disperata, diceva “così lo rovineranno”, ma lui è tornato al suo amore per il blues».
Lei è trasgressiva come suo padre?
«Io non lo giudico trasgressivo. È uno showman ma soprattutto è uno che sta sempre a casa a scrivere canzoni; è un gran lavoratore e si è sempre fatto un mazzo così. Però è una persona libera e non ha paura di dire quel che pensa. E anch’io faccio una vita poco rock; mi piace stare tranquilla in campagna, nel mio giardinetto con il cane».
Davvero tutta casa e famiglia?
«Più o meno. Frequento mia sorella Alice che suona il piano e scrive canzoni ma soprattutto è una grandissima artigiana; fa della splendida bigiotteria. E poi mi aiuta nella scenografia dei concerti; io amo il suono dell’organo Hammond, ma per portarlo in giro ci vorrebbe un camion, così Alice ha costruito un mobile attorno al nostro organo che esteticamente lo rende uguale all’Hammond. Più fatto in casa di così».
L’energia la riserva ai concerti.
«Si, infatti il mio spettacolo è diviso fra le mie canzoni e i classici della musica americana come Proud Mary o A Change Is Gonna Come».
E poi ci sono gli show coi Nomadi.
«Sono entrata nella loro grande famiglia. Temevo fosse difficile farsi accettare dai loro fan, invece mi hanno accolto calorosamente, soprattutto quando canto Ho difeso il mio amore, che rileggo con rispetto pur interpretandola in una tonalità più alta».
Chi è oggi Irene Fornaciari?
«Una ragazza a volte un po’ triste che non si definisce un’artista ma un’amante della musica. Voglio conquistare il successo e gustarlo lentamente. Non so come fanno nei talent show a passare dall’anonimato alla fama in un attimo. Io non reggerei psicologicamente.
Anche Sanremo è una sfida.
«Ma Sanremo non ti mette a nudo come i talent o i reality. Io credo in Sanremo e mi presenterò anche l’anno prossimo: lì mi piace rischiare».
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