Settant'anni di vita, cinquanta in scena, da prima voce: Placido Domingo questo venerdì li celebra, naturalmente, all'Opera. Quella di Madrid, la sua città natale, che lo festeggia con una serata lirica a sorpresa tutta per lui, davanti a Juan Carlos di Borbone e alla regina Sofia. Sarà però solo una pausa per il tenore - più che mai - in attività più famoso del mondo, fra una rappresentazione e l'altra al Teatro Real della 'Ifigenia in Tauridè di Gluck, che lo vede intramontabile nel ruolo di Oreste. »È una grandissima emozione - spiega Domingo -, non ho mai pensato che sarei arrivato a 70 anni cantando: è un privilegio fare felice il pubblico«. Il maestro esce da un 'annus horribilis': la lotta contro il tumore, l'operazione, la ripresa, il ritorno in scena. Ancora per quanto? «Non sai mai quanto può durare. Io continuo ad accettare contratti. Ho preso la ferrea decisione che quando sentirò che non posso più, mi fermerò: sarò il primo a sentirlo. Devi sempre essere tu il tuo critico più severo». La sua agenda - è anche direttore generale dell'opera di Washington e di quella di Los Angeles - è già piena per i prossimi anni. Con un numero crescente di appuntamenti in Spagna, il suo paese, soprattutto con il Teatro Real di Madrid diretto dal belga Gerard Mortier. «Non mi pongo limiti. A 80 anni? Non so...». In gran forma, sobriamente elegante in gessato grigio, cravatta azzurra, capelli e barba bianchi, alterna ricordi, progetti per il futuro, sottile ironia. «Ho imparato a cantare, ma non a parlare», si schermisce. Poi ricorda quando, a 33 anni, in un'intervista a Londra aveva detto che »per un tenore il momento migliore è fra i 33 ed i 38 anni«. »Certo, sorride, da allora ho cambiato idea... Finora non ho mai pensato di ritirarmi«. Una carriera, la sua, senza paragoni dopo la morte dell'amico Luciano Pavarotti: 3.500 volte in scena, oltre 130 primi ruoli, più di 100 dischi, 7 Grammy Awards. In Inghilterra un sondaggio di The Telegraph lo ha piazzato al 58/o posto fra i 100 »geni viventi«. Ha cantato con tutti i grandi direttori d'orchestra, da Karajan a Muti, da Abbado a Meta. Fra i suoi colleghi rende omaggio a Pavarotti e Carreras, suoi complici nell'avventura dei 'Tre Tenorì: «Certo - ammette - alcuni puristi ci hanno criticato«, ma» è stata una esperienza molto positiva», e »ci siamo divertiti: si è aperto un mondo per tante persone che non si erano mai avvicinate all'opera e che poi non hanno più potuto farne a meno«. E ancora: »Sono ricordi che non si cancelleranno mai dalla nostra mente: Luciano ed io abbiamo accettato subito«, sorride, anche perchè »era l'anno dei Mondiali di calcio in Italia«. Il maestro non nasconde l'altra sua passione, il calcio.
Ha esultato in Sudafrica la notte della vittoria della Spagna agli Mondiali («vinceremo gli Europei nel 2012 e i Mondiali ancora nel 2014»), soffre per la sua squadra del cuore, il Real Madrid, confessa che è il Barcellona oggi che «fa sognare», in Italia gli piace il Milan. A 70 anni conserva l'entusiasmo. »La cosa più importante - sottolinea - è che riesca a fare bene quello che faccio. E a farmi piacere. Se non sono contento, difficilmente lo sarà il mio pubblico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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