
Con il caldo impazzano gli spettacoli al fresco. Oltre ai catini e alle arene ormai classici mancavano i golfi poetici, come accaduto con l'idea di ambientare la grande tragedia di Giuseppe Verdi sul primo doge di Genova sul molo Italia di La Spezia. Si chiamano «opera site-specific». L'occasione era ghiotta, potendo contare come fondale e parziale scenografia sull'Amerigo Vespucci colà ormeggiata. D'altronde la cosa che manca di più negli allestimenti del Boccanegra (tranne quello indimenticabile di Sylvano Bussotti) è l'elemento fondamentale, il mare, la cui presenza accompagna la truce storia di potere del corsaro divenuto doge.
La sconosciuta Orchestra delle Terre Verdiane e il Coro Genova Vocal Consort potevano preludiare ad una versione filodrammatica, smentita non solo dalla cura e dai tempi saggiamente accondiscendenti per le voci del direttore Stefano Giaroli (foto), ma anche grazie ai microfoni tv che fanno pure sembrare tutti dei vocioni da mascherone, ma non sono bugiardi sulla qualità complessiva dei cantanti: il dignitoso Boccanegra, l'Amelia Grimaldi pulita di Leyla Gu, e, non secondario, l'apporto dei bassi Agostino Subacchi (Fiesco) e Stavros Mantis (Paolo Albiani). A parte il golfo di La Spezia, Verdi in quel contesto colpisce al cuore con la sua grandiosa visione pessimistica della storia, dove anche i vecchi come Fiesco, alla fine versano lacrime da eroi di Omero.