
È cresciuto a pane e musica Emmanuel Tjeknavorian, direttore d'orchestra e violinista (non necessariamente in questo ordine). Inutile rovistare tra i social per curiosare nella sua vita: classe 1995, non più millennial e nemmeno Gen Z, li trova tossici e vi transita solo per interposta persona. Con buona pace dei pr che in compenso fanno incetta di recensioni positive, perché il giovanotto - che si tratti di podio o di violino - ha stoffa da vendere. A settembre inizia la sua seconda stagione da direttore musicale dell'Orchestra Sinfonica di Milano, mentre il 5 giugno era in Piazza Duomo per il concerto che la Filarmonica della Scala, condotta da Riccardo Chailly, ha dedicato alla città. Tjeknavorian ha imbracciato il suo Stradivari per un'incursione, particolarmente toccante dati i tempi, nella fantasia cinematografica da Schindler's List di John Williams.
Lei ha un nome complicato a dirsi e radici complesse a spiegarsi. Da dove iniziamo?
«Dalle radici: sono armeno, come mamma e papà».
Ma suo padre è iraniano...
«... figlio di armeni e comunque a 15 anni lasciò la Persia alla volta di Vienna. Suo padre, un uomo d'affari, non voleva musicisti in famiglia. Per fortuna il nonno, dottore, capì il potenziale del nipote e lo portò a Vienna».
Dove lei è nato e cresciuto.
«Devo molto all'Austria, però dai 5 ai 10 anni ho vissuto in Armenia. Lì ho appreso cosa significhi davvero convivere con la guerra».
Però anche la musica è terreno di scontro. Gergiev è bandito, Netrebko contestata, per non parlare degli artisti israeliani.
«Quello di Gergiev è un caso a sé. Ha scelto di restare in Russia, dove è lo zar della musica. Se avesse continuato in Occidente, avrebbe perso tutto nella sua patria. Si è trovato a un bivio e ha deciso che la sua vita è in Russia».
Lei, madrelingua russa, suonerebbe in Russia?
«No, è una catastrofe quello che sta accadendo in Ucraina. Sono innamorato della cultura russa, dalla musica alla letteratura. Però no: non farei concerti in Russia».
E negli negli Stati Uniti? C'è chi vi rinuncia per protesta contro la Casa Bianca.
«Perché mai dovrei rinunciare a dirigere un'orchestra, per fare un esempio, come la New York Philharmonic? Trump non interferisce con la musica. In America la cultura non è sostenuta dallo Stato, e questo la rende più libera».
Ma sul Kennedy Center il Presidente è intervenuto.
«Un caso isolato».
È nella Formula 1 del violino, però è sempre più concentrato sulla direzione.
«Faccio pochissimi concerti da violinista, però il violino è sempre con me, indispensabile come l'acqua. Lo studio ogni giorno».
La si vede spesso alla Scala quando dirige Chailly.
«Con lui ho un legame speciale. Lo seguo da quando sono ragazzo. È un artista che coniuga emozione, temperamento e rigore. E questo è molto raro».
A quando l'opera?
«Nel 2026, in Italia. Non posso ancora svelare dove».
Nord, Sud, Centro, isole?
«Centro».