
Già la scelta della meta, qualcosa dice. Il Legend è alla periferia di Milano, uno luogo che si potrebbe dire per certi versi intimo, indipendente, identitario. Ieri sera questo "vestito" ha accolto uno dei concerti di Garbo, al secolo Renato Abate, classe '58. Si, proprio lui: uno dei pionieri della cosiddetta new wave all'italiana (movimento musicale, e non solo, che portò diverse contaminazioni, con forti influenze punk, sorpassandole, soprattutto con elettronica e synth pop; ne fecero parte anche i Decibel di Enrico Ruggeri). Ma dove era finito questo cantautore? In realtà c'è sempre (quasi) stato, con i suoi eventi, coi suoi album, con le sue proposte fuori dalle acque sicure del mainstream. E ieri, l'artista ha voluto celebrare i "suoi" cinquant'anni di musica, e continuerà ancora: per chi lo avesse perso, prossimo "live" il 21 giugno al Castello di Padernello, in provincia di Brescia.
Viaggio nel tempo, ma non troppo, al club. Sulla pista il popolo dei fan, soprattutto, gli ex ragazzi degli anni Ottanta/Novanta; qualcuno ancora con l'abito di ordinanza (tutto in nero) e ben truccato. Fiumi di birra, orecchini, balli accennati e tanto entusiasmo per il proprio beniamino. Che nel corso dell'evento ha riproposto canzoni della sua carriera, dalle più recenti ai cavalli di battaglia, più noti anche al grande pubblico e legati pure alle avventure sanremesi, alla notorietà: "A Berlino va bene" e "Radioclima". Sul palco, con Garbo, due "virtuosi" delle tastiere come Luca Urbani, storico collaboratore dell'artista milanese, e il poliedrico Eugene. Garbo, sempre stiloso, tra un pezzo e l'altro scherza e ride col suo pubblico, e si racconta: "Avrei potuto diventare ricco - spiega - ma me ne sono fregato delle mode. Ho portato avanti il mio discorso, con coerenza. Ed eccomi qui, ancora fra di voi". In effetti, pur "assentandosi" dai grandi circuiti mediatici, il musicista e autore ha lavorato molto, producendo ben 23 dischi, più raccolte varie, poi concerti e altre proposte. Da qui, dalla sua produzione dunque, la "scaletta" del concerto: da "Una sera infinita", brano di apertura, a "Grandi giorni", verso il gran finale, passando per il più recente "Nel vuoto", "Generazione" e "Il fiume"; poi un pezzo degli inizi come "On the radio"; non potevano ovviamente mancare le sue hit, più note. In tutto una quindicina di pezzi da gustare, tra suoni elettronici, ritmici artificiali e una voce ancora sul pezzo, scura, tenebrosa ma capace di acuti stabili e controllati. Pubblico, di fan o meno, a mano a mano sempre più caldo, a fine serata ovazioni per questo Signore alternativo della musica che rappresenta un genere, un mondo affascinante di contenuti, dal sapore underground che ancora delle cose interessanti può dare.