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"Sposati in nome del rock". Il finto matrimonio dei Maneskin è già un caso

Vestiti da nozze, si sono promessi fedeltà eterna ieri sera al Palazzo Brancaccio davanti a una platea di ospiti. L'occasione è l'uscita del nuovo album Rush!

"Sposati in nome del rock". Il finto matrimonio dei Maneskin è già un caso

La provocazione deve essere fatta bene altrimenti che gusto c’è. C’erano un centinaio di invitati ieri sera al “matrimonio” dei Maneskin in un Palazzo Brancaccio di Roma agghindato a festa con tanto di mini altare per la cerimonia (e di palco per il mini concerto). Qui di seguito le tre “o” dell’evento. Occasione: l’uscita oggi del disco Rush!, il loro terzo, quello decisivo per capire se la band si stia davvero trasformando in un fenomeno duraturo oppure no. Officiante: Alessandro Michele, ex direttore creativo di Gucci. Ospiti: Paolo Sorrentino, Baz Luhrmann, Paulo Dybala con Oriana Sabatini, Lorenzo Pellegrini, Manuel Agnelli, Fedez, Sabrina Impacciatore, Machine Gun Kelly, Benedetta Porcaroli, Floria Sigismondi, tra gli altri.

Loro sono arrivati vestiti da nozze (Ethan e Vic addirittura con il velo), si sono promessi fedeltà eterna con frasi belle roboanti e pure scherzose come: “Io Thomas prendo voi in matrimonio come mia famiglia estesa e vi regalerò un nuovo riff di chitarra ogni due giorni” oppure “Io, Damiano, vi prendo come amanti immortali nel nome del rock’n’roll”.

Alla fine, baci (sulla bocca) tra tutti “neo sposi” e regolamentare lancio del bouquet.



Tutto molto kitsch, ovvio. Come dopotutto sono sempre state (anche) kitsch tutte o quasi le provocazioni del rock, dal pianoforte suonato con i piedi da Jerry Lee Lewis, alle ghigliottine di Alice Cooper, al sangue sputato da Gene Simmons dei Kiss, agli amplessi mimati con i Marshall di Iggy Pop e poi volando ancora più in alto fino a David Bowie o a Freddie Mercury in reggiseno, calze nere e e aspirapolvere. Pure in Italia, da Renato Zero al pancione di Loredana Bertè a Sanremo, il repertorio è abbastanza vasto e buono per tutti gli usi. Ovvio, non sono paragoni perché ogni artista fa storia a sé e poi confrontare il presente con il passato spesso è solo stucchevole. Il modulo del tipo “Bob Dylan comunque lo faceva meglio” è ormai superato, si spera. Ogni epoca ha i propri eroi, i propri contesti e pure i propri limiti grandi, talvolta grandissimi.

Insomma, giudicare il “matrimonio” di ieri sera con il metro del perbenismo è inutile, oltre che ripetitivo. Dal Frank Sinatra di “Mi piace quella musica di merda chiamata rock’n’roll, non gli do 5 anni di vita” al Nantas Salvalaggio su Vasco (per tacere degli esempi più recenti), la storia è piena di svarioni e giudizi affrettati. Ovvio, qui non si fanno confronti, e i Maneskin giocano il loro campionato nel quale sono in testa anche perché in questo periodo ci giocano in pochi. Il rock, si sa, è stato per anni in via di estinzione e la chitarra stava per finire sotto la protezione del Wwf.

In ogni caso è stato bello e significativo vedere Machine Gun Kelly o Fedez o altri scuotere la testa sotto il palco dei Maneskin a Palazzo Brancaccio come se fossero a un festival rock. Headbanging e stucchi. Dodici brani, dalla nuova e potentissima Kool Kids a I wanna be your slave passando per Gossip (ottimo Thomas Raggi alla chitarra) e una Time Zone nella quale Ethan Torchio suona la batteria ancora meglio che su disco. Il volume è alto. Ed è alto anche il volume di chi, sui social ma non solo, trova tutto troppo esagerato, volgare, “marchettaro” oppure addirittura blasfemo. In fondo è sempre stato così, specialmente nel rock, specialmente nel confronto tra generazioni, specialmente nell’inevitabile gara di giudizi davanti alle provocazioni.

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