
«Bello, mi è piaciuto un sacco». «È proprio un grande, accidenti». I bei concerti si capiscono solo dopo, cioè quando cala il sipario, ed è una regola che non ti sbagli mai. E all'uscita dall'Alcatraz, mentre i coni degli amplificatori vibravano ancora in sala e le luci si erano appena riaccese, il pubblico parlava così, senza enfasi ritornandosene a casa, come accade quando hai visto un concerto nutriente. Ma che bello. Questo, bisogna ammetterlo, è il momento di Lucio Corsi, tutti ne parlano e tutti lo vogliono e chissà cosa combinerà lui all'Eurovision di Basilea la prossima settimana dove magari userà l'armonica a bocca aggirando il regolamento (che non prevede microfoni per gli strumenti però l'armonica «entra» nel microfono della voce quindi teoricamente si potrebbe).
Comunque vada, resterà fuori dalla sgargiante ordalia di pop dance che accende questo campionato europeo di musica perché Lucio Corsi è un po' rock e un po' folk, un cantautore che è fuori dal tempo perché «è lui che mi ha lasciato indietro» come canta in Volevo essere un duro, arrivata seconda in classifica a Sanremo ma in pratica è prima come capita ai brani che ti restano addosso morbidi.
Vedendo per la prima volta Bruce Springsteen aprire il concerto di Bonnie Raitt a Cambridge, Massachusetts, un entusiasta Jon Landau scrisse che «ho visto il futuro del rock'n'roll». Invece Lucio Corsi fa vedere il passato del rock'n'roll che oggi, per una sterminata quantità di pubblico giovane e giovanissimo, suona davvero nuovo quasi fosse il futuro. Non soltanto nei suoni, che sono veri, autentici e talvolta pure grezzi o traballanti, ma pure nell'atmosfera. L'altra sera all'Alcatraz, data finale di un tour sold out, sembrava di essere in un club londinese di metà anni Settanta con i T Rex di Marc Bolan allucinato, unica differenza la coreografia di cellulari accesi in platea, oppure nello studio Il Mulino di Milano dove Ivan Graziani registrò il clamoroso disco Ballata per 4 stagioni.
Sul palco, uno di fianco all'altro, erano in sette musicisti compreso Lucio Corsi con la sua chitarra (la suona pure bene, ruvida come si conviene) e i suoi cappelli in fila sul pianoforte, e tutti i personaggi delle sue canzoni, dalla Ragazza trasparente al Re del Rave fino a Giulia che «è bella come il mare infinito» ma ha solo un difetto, suo marito (Situazione complicata). Inizia Freccia bianca, poi La bocca della verità, Danza classica, Radio mayday e no, non c'è Volevo essere un duro che arriva oltre la metà, persino dopo Nel blu dipinto di blu che è senza Topo Gigio come a Sanremo ma regge alla perfezione, non farebbe rabbrividire Modugno e ci sta proprio bene in una scaletta di 27 canzoni e un fotografo, che è pure protagonista di una canzone. Francis Delacroix passa il tempo sul palco a fotografare tutti salvo poi prendere la chitarra e suonarla nella canzone omonima, lui che veste «come Jake e Elwood», «lo trovi in via dei Matti» e si dice che «a Napoli ha fumato con il Buddha nel camerino di Bob Dylan» e alla fine ciao, il concerto finisce.
Dal favoloso mondo di Lucio Corsi la realtà resta fuori, niente, non ci sono riferimenti politici, non c'è un hashtag manco a pagarlo, e la tendenza è solo quella di fare musica suonata con le dita, senza basi, senza campionamenti. Ci sono invece le favole, i racconti nomadi di un trentunenne che ora lo conoscono tutti ma per dieci anni ha girato l'Italia in lungo e in largo con i «bene bravo bis» dei fan e l'indifferenza di tutti gli altri.
Troppo particolare, troppo indipendente.
Dopotutto Lucio Corsi è uno che traduce in italiano il pezzo Short people di Randy Newman, pressoché dimenticato dal grande pubblico italiano, poi lo intitola La gente bassa e annuncia «che magari un giorno la registrerò per qualche disco».
E intanto canta, suda, si butta sul pubblico, fa impazzire i tecnici che gli aggiustano la chitarra o la fisarmonica e si dimentica pure qualche linea di testo prima di rimanere a torso nudo, lui così esile, mentre il fumo della sigaretta gli scivola sulla fronte china sulla tastiera e lo guardano tutti quasi fossero parte dello show anche loro, da Nicola Savino al suo discografico Filippo Sugar fino alla ragazza del bar che, a un certo punto, si è distratta mentre lui cantava Cosa faremo da grandi. In fondo è un problema che a Lucio Corsi non interessa proprio, lui cosa farà da grande l'ha deciso già da piccolo, in Maremma, mentre il tempo iniziava a lasciarlo indietro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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