Mussi indaga sulla cattedra alla figlia di Rognoni

Mussi indaga sulla cattedra alla figlia di Rognoni

da Milano

«La figlia di Rognoni chi, l’ex ministro della Dc? No guardi, qui a Palermo di Rognoni ne conosciamo solamente uno, il grande musicologo Luigi. La nostra università gli ha dedicato perfino un Fondo...». Non vuol sentir parlare di nepotismi il rettore dell’ateneo palermitano Giuseppe Silvestri, e alza le braccia di fronte all’inchiesta giornalistica che ha puntato l’indice contro la «chiamata diretta» della dottoressa Cristina Rognoni, figlia dell’ex notabile Virginio, che oggi occupa la cattedra di Civiltà bizantina alla Facoltà di Lettere ma sui cui titoli ora indaga anche il Ministero. Proprio ieri, infatti, il dicastero di Mussi ha chiesto al Comitato Universitario Nazionale (Cun) l’acquisizione degli atti che hanno permesso la sua nomina pur senza regolare concorso ma solo sulla base della sua esperienza come «Maître des conferences» all’Ecole des Hautes Etudes des Sciences Sociales, prestigioso istituto francese. Dove però non risulterebbe aver mai svolto docenza ma solo un dottorato di ricerca.
La verifica ministeriale, come recita lo stringato comunicato finito sul tavolo del rettore, «sarà svolta in tempi brevi al fine di fugare ogni dubbio e garantire al sistema universitario nazionale trasparenza e legittimità». E sia. Il professor Silvestri fa un sospiro serafico: «Il ministro fa benissimo a indagare e noi attendiamo fiduciosi che si chiarisca quello che riteniamo soltanto un vizio procedurale». Un momento, un vizio di chi? Il rettore non ha dubbi. «Vede, è stata commessa l’ingenuità di non inserire il caso della Rognoni all’interno delle procedure previste dal decreto ministeriale sul “rientro dei cervelli” (N.13/2001 ndr), che prevede la possibilità della chiamata diretta dei ricercatori italiani che lavorano all’estero. Così non è stato fatto e ciò può aver dato adito ad ambiguità ma, lo ripeto, è una faccenda più formale che sostanziale».
Già, il rientro dei cervelli. Risale all’inizio di quest’anno l’altro scandalo che portò il ministero a sospendere «con efficacia immediata» la chiamata diretta di un altro docente «in fuga»: il sessantenne Aldo Colleoni, nominato dall’Università di Macerata sulla scorta di non ben identificati meriti all’ateneo mongolo di Ulaanbaatar. Ma qui, giura il rettore Silvestri, si tratta di un caso ben diverso, e le ragioni per cui l’Università ci tenesse così tanto ad arruolare proprio la Rognoni sarebbero di natura squisitamente scientifica. «Ma sì, guardi, ho qui la pratica sotto i mei occhi. Sia chiaro, io sono un chimico e di lingue antiche non mi intendo, ma non vi è dubbio sulle qualità della collega che non a caso ebbe già un contratto quadriennale di collaborazione ad alto livello con questa università. Non a caso in Francia aveva ottenuto l’idoneità al ruolo di maître des conferences, che in Italia equivale al titolo di professore associato». Appunto, soltanto l’idoneità, ma non la cattedra. Per Silvestri la questione è di lana caprina e ciò che conta è che nel curriculum non ci sia truffa né inganno: «Nessuno, né la Rognoni né l’Università, ha mai certificato il falso, perché nella documentazione si parla solo di idoneità e non di docenza. All’indomani della notizia ho convocato la Rognoni che si è detta esterrefatta. D’altra parte, lo ripeto, sul suo profilo non c’è nulla da eccepire».
Tutto a posto? Mica tanto, visto che il ministero vuol vederci chiaro e ha dato incarico di verificare l’iter dell’intero procedimento. Qualcuno evidentemente ha sbagliato e se la prof e l’Università sono in buona fede, resta soltanto il Cun...
«Eh già - dice Silvestri - qualche errore è stato commesso, perché se il Cun l’avesse inserita sotto il tetto della norma sul “rientro dei cervelli” non staremmo qui a parlare. E pensare che di queste “chiamate” ne facciamo talmente poche...».

E la figlia di Rognoni? All’Università in questi giorni nessuno la trova, si nega al telefono e sulla sua vicenda non rilascia dichiarazioni. È di origine pavese ma, evidentemente, ha già imparato l’antico adagio siculo: «Calati junco ca passa la china...».

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