(...) Veniamo al sodo. Io e Roberto siamo soliti partecipare alle celebrazioni del 25 Aprile proprio perché crediamo - e vogliamo dimostrarlo con la nostra presenza - che sia una festa di tutti gli Italiani.
Primo, perché la lotta partigiana non fu una faccenda privata della sinistra, ma vide unite forze politiche molto diverse fra loro - cattolici, comunisti, liberali, socialisti - che di lì a pochi anni costruiranno il futuro del Paese e porranno le premesse del boom economico. Fieramente contrapponendosi l'una all'altra, e al tempo stesso condividendo i valori fondanti della neonata democrazia italiana. Secondo, perché il 25 Aprile l'Italia si è liberata dai Tedeschi ma soprattutto da una guerra civile sanguinosa e fratricida. E i fondamenti di un forte stato unitario si costruiscono insieme a tutti i cittadini che lo vogliono, e non solo insieme a quelli che «hanno vinto».
Purtroppo, a volte il messaggio è un altro, non solo nel discorso di Dalla Chiesa, e suona più o meno così: il 25 Aprile la sinistra ha vinto sul fascismo e il bene ha vinto sul male; quindi nei mitici «valori» del 25 Aprile deve stare tutto quello che è bene, e fuori di essa tutto quello che è male. Fino ad oggi compreso: la giustizia, la solidarietà, la crescita umana e civile sono «25 Aprile». La mafia, per dire, non lo è. È un messaggio mistificatorio e pesantemente illiberale, che si salda con la spiccata tendenza di molta parte della politica italiana a definire assiomaticamente quello che è bene («noi») e quello che è male («gli altri»). Ma così il Paese non va da nessuna parte.
*senatore Udc- Pli
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