Nel 1917, pagare Mussolini affinché si battesse per mantenere l’Italia nella Prima guerra mondiale era come pagare la propria moglie per fare l’amore. È la prima considerazione che mi viene in mente alla notizia, diffusa da uno storico inglese, per cui dall’autunno del 1917 il futuro duce avrebbe ricevuto per dodici mesi uno stipendio sostanziosissimo dai servizi segreti inglesi. La sua missione sarebbe stata duplice: impegnarsi perché l’Italia non uscisse dal conflitto dopo la sconfitta di Caporetto e battersi perché i pacifisti non riuscissero a fermare le fabbriche milanesi con degli scioperi. Per questa missione il direttore del Popolo d’Italia avrebbe ricevuto la bellezza di 100 sterline a settimana, equivalenti a oltre 6.000 euro, per un totale di circa 330.000. Una piccola fortuna.
Il primo problema da porsi, in questi casi, è la serietà dello storico. Christopher Andrews, docente a Cambridge, noto per i suoi studi sui servizi segreti britannici, nel 2003 ha accettato l’incarico di storico del Security service MI5, con l’incarico di scriverne la storia ufficiale per il centenario della fondazione, che cade appunto quest’anno. In Gran Bretagna si sospetta che egli stesso faccia parte dei servizi segreti. Di certo ne gode la fiducia. E che i servizi segreti abbiamo fiducia in qualcuno non è necessariamente una prova di affidabilità. Il libro, in uscita, si intitola Defence of Realm, ma non è stato Andrews a rivelare la notizia che oggi farà fremere i giornali italiani, se non gli italiani. Lo ha fatto un suo collega meno illustre, Peter Martland, che per primo avrebbe scoperto negli archivi i faldoni riguardanti «Mussolini/1917».
La parola «faldoni» suscita il reverente rispetto di qualsiasi ricercatore d’archivio, per cui aspettiamo di vedere cosa contengono, prima di dare giudizi definitivi. Certo è che Martland ha perso buona parte della sua credibilità affermando, in un’intervista al Guardian, che - pur non avendo prove - sospetta Mussolini di avere speso quasi tutto in donne. Va be’, torniamo al fatto. «Al tempo», spiega Martland, «l’alleato meno affidabile della Gran Bretagna era l’Italia. La Russia aveva appena lasciato il conflitto dopo la rivoluzione. Erano molti soldi per un uomo che faceva il giornalista, ma l’ultima cosa che il Regno Unito desiderava era vedere le fabbriche di Milano fermarsi per scioperi pro-pace». Il discorso sembra non fare una grinza, invece ne ha tante da fare invidia a una camicia appena uscita dalla lavatrice. Per prima cosa, affidabile o non che fosse, l’Italia non aveva alcuna intenzione di uscire dalla guerra, tanto meno dopo Caporetto, con gli austriaci che avevano occupato buona parte del Nord-Est e che di certo non l’avrebbero restituito. Infatti il fronte fu tenuto fino alla controffensiva vittoriosa: la quale ci sarebbe stata anche se Mussolini non fosse mai nato. Secondo punto, governo, esercito e monarchia non avevano bisogno dei buoni uffici di un giornalista per fermare eventuali scioperi operai: non erano passati neppure vent’anni da quando il generale Bava Beccaris - in tempo di pace - aveva dato ordine di sparare a cannonate sui milanesi che chiedevano una riduzione del prezzo del pane. Si può immaginare cosa sarebbe accaduto in tempo di guerra, mentre al fronte venivano fucilati non soltanto i disertori, ma addirittura coloro che, presi dal terrore, non si sbrigavano a uscire dalle trincee per andare all’attacco.
Le grinze diventano pieghe e piaghe se si considera che Mussolini, nel 1915, aveva abbandonato il Partito socialista proprio per sostenere la necessità dell’intervento a tutti i costi, con un nuovo giornale. Il Popolo d’Italia era destinato ai «produttori» e Mussolini non aveva nessuna simpatia per gli scioperi, come avrebbe dimostrato in abbondanza di lì a poco. Perché mai, allora, sborsargli una cifra così ingente, per invitarlo a un’attività che svolgeva già spontaneamente e con la massima determinazione? A questo punto Martland fa un’altra affermazione curiosa: si trattava di una cifra assai modesta, rispetto ai 4 milioni di sterline che la Gran Bretagna spendeva ogni giorno per la guerra.
Se gli argomenti sono questi, davvero non ci resta che aspettare di vedere le carte. Ma, anche davanti alle carte, verranno altri sospetti, più che leciti. Il primo è che i servizi segreti (di qualsiasi luogo e tempo) non sono propriamente uno specchio di correttezza. Le carte, dunque, potrebbero essere state costruite ad hoc per screditare Mussolini, magari fra il 1935 e il 1940, quando il duce era ai ferri talmente corti con la Gran Bretagna da arrivare alla dichiarazione di guerra. Oppure, al contrario: se le carte sono vere, possibile che a nessuno, fra le spie di sua maestà, siano tornate in mente durante la Seconda guerra mondiale? A dire di Martland, la spesa del 1917 fu autorizzata da sir Samuel Hoare, che nella guerra successiva era ancora ben vivo e ancora più potente: perché mai non avrebbe tirato fuori il suo asso nella manica?
Intendiamoci. Se davvero gli inglesi avessero offerto quei soldi a Mussolini, lui li avrebbe presi, e volentieri. E avrebbe fatto pure bene. Cosa c’è di meglio che essere pagati per una causa in cui si crede e per la quale già si lavora? Cosa c’è di meglio di un simile dono dal cielo, per un direttore/editore di un giornale in bilico economico?
No, l’aspetto più affascinante della questione è quanto sia tornato di moda ricamare, di sogno e di rovescio, su Mussolini. Appena quindici anni fa si cercò di accreditare la notizia che nel 1914 fosse stato una spia dello zar.
Caduta la bufala, ecco i ritrovamenti di presunti diari, la presunta bigamia con tanto di matrimonio in chiesa, i presunti figli e amanti che spuntano come funghi dopo una pioggia d’autunno. Persino lui, che non era dotato di molto umorismo, se la ride nella tomba.www.giordanobrunoguerri.it
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