Muti: che emozione quell’Oratorio sconosciuto

Celebrando Napoli, il maestro affascina con una pagina inedita di Scarlatti

da Salisburgo

La regina di Napoli, Maria Carolina, non cantava nel coro della Carmen, come fa oggi qualche moglie di premier, ma suonava per conto suo le nacchere. Lo sappiamo, perché sono finite nella mostra Napoli, nel nobil core della musica, che raccoglie partiture inedite settecentesche, volumi illustrati coevi, e altre cose disposte con cura alla Residenzgalerie Salzburg, nel periodo del Festival Napoletano. Così anche il volto antico e nobile di questa fascinosa città si mostra al mondo provvidamente in questi giorni calamitosi.
Qui Riccardo Muti, ha presentato ieri con accoglienza magnifica un bellissimo Oratorio a quattro voci di Alessandro Scarlatti, uno dei padri della scuola napoletana e dell'opera settecentesca. Sconosciuto fino a ieri, ha un testo anonimo dove la Passione di Gesù è sentita soprattutto attraverso il dolore della Madonna; e c'è un poco di poesia barocca, con qualche esclamazione da melodramma, e qualche indugio o inciampo per spiegare bene ai fedeli della Madonna dei Sette Dolori le dotte e pie allusioni. Ma la parola a tratti si apre in una bellezza ignota a ogni declamazione, e resta come incantata, assaporata in una densa melodia essenziale. L'orchestra l'avvolge, ed a volte s'impenna nello squillo lucente delle trombe.
Esecuzione alta, catturanti le voci: Anna Bonitatibus, Ekaterina Gubanova, e particolarmente, nei due uomini, quella acutissima e penetrante di Franco Fagioli e quella tenorile, suadente, meravigliosa di Mattew Polenzani. L'Oratorio di Scarlatti era del 1717, Sant'Elena al Calvario di Leonardo Leo del 1732. Ormai l'aria era una forma di canto spettacolare, la melodia si sbrigliava in ardimenti vocali; e persino in un oratorio severo, senza compiacimenti esteriori, il linguaggio musicale si adeguava. Così, la progressiva scoperta del Santo Sepolcro e della Croce, che nel libretto di Metastasio è un itinerario un segreto di dubbi, emozioni, prodigiosa commozione, veniva bloccata, da un autore più autorevole che imprevedibile, in una formula in cui oggi l'ascoltatore può sentirsi a suo agio entrandovi piano piano. Ma Fabio Biondi, con i suoi strumentisti dell'Europa galante ci crede talmente, e tanto imbriglia o aizza i cantanti, con quel suono poco vibrato e arcaico, che il pubblico del Mozarteum alla fine festeggia gli interpreti con accoglienze memorabili.


La compagnia di canto era peraltro intrisa d'amore e convinzione per la partitura; e Roberta Invernizzi mescolava con sicurezza emissioni fisse barocche e fraseggi più moderni da convincere pienamente, Gemma Bertagnolli si esprimeva con tale pathos per poi slanciarsi a capofitto in variazioni ardimentose che ci lasciava conquistati, e tenevano bene sia lo stile che la tensione Anna Chierichetti, Marina De Liso e il notevole basso Roberto Abbondanza. Mai Leo si sarebbe aspettato tale successo; in fondo lo scopo dell'oratorio era più disarmante e disarmato: «A calcar la via smarrita Dio vi invita, e per mercede poche lagrime vi chiede, ma che partano dal cor».

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