Muti dirige la «Fantastique» e l’America cade ai suoi piedi

Hector Berlioz, poco prima di morire, avrebbe pronunciato nel delirio, una profezia: «Finalmente si esegue la mia musica!». Da anni sentiva irresistibile l’ascesa di Wagner che lo confinava spietatamente fra i sorpassati. Wagner lo marginalizzò sempre, pur ammettendo, solo in privato, la bellezza di alcuni temi del Romeo et Juliette di quel «francese eccentrico». L’apostolato di tanti direttori d’orchestra, soprattutto dei compatrioti Pierre Monteux e Charles Munch, ha reso la musica sinfonica di Berlioz repertorio corrente nel Novecento. Queste riflessioni ci vengono in mente in occasione del trionfale debutto di Riccardo Muti nella sua nuova qualità di Direttore musicale della prestigiosa Chicago Symphony Orchestra. A nostro sommesso giudizio la migliore fra le cinque migliori (le leggendarie Big Five) degli Stati Uniti d’America. Dunque non è un fatto sorprendente che la composizione più famosa di Berlioz, la Symphonie fantastique (1830), sia stata scelta da Muti per il primo concerto in qualità di capo della Chicago Symphony, incarico mai toccato ad un musicista italiano. Anzi è un atto di omaggio ai professori d’orchestra americani che in fatto di qualità e di bellezza del suono, ripetiamo, non temono rivali. Con la straordinaria compagine americana, fondata nel 1891 da un ammiratore e conoscente di Berlioz, Theodore Thomas, Muti ha eseguito insieme alla Fantastique, il melologo Lélio ou le retour à la vie, un collage di brani diversi, uniti l’uno all’altro da una narrazione recitata da un attore (nel nostro caso il carismatico Gérard Depardieu). Berlioz aveva concepito, infatti, un seguito alla sinfonia, impiegando sei pezzi già scritti in precedenza, per salvarli da un temuto silenzio. Furono obliati, a torto, lo stesso. Come sempre in Berlioz manifesto artistico e frammenti autobiografici si coniugano: il ritorno alla vita, celebrato nel titolo, illustra la liberazione del compositore dall’ossessione per l’attrice Harriet Smithson. Dopo il viaggio «psichedelico» della Fantastica - la definizione è di Leonard Bernstein - il musicista rinuncia ai sogni amorosi e agli istinti suicidi, per votarsi interamente alla «Musica, amante fedele e pura». E qui l’Artista, alter ego del Musicista, si trasforma in mago ed evoca con la Fantasia drammatica sulla Tempesta, il più grande mito della generazione romantica, William Shakespeare. La scelta di inserire Lelio non è imputabile ad un direttore che vuole vellicare il successo facile, meglio, come dice Riccardo Muti, «è un necessario riposo dopo il mare in tempesta», considerata la non diretta ironia del testo. In questo Muti ha trovato piena adesione nelle meraviglie foniche dei professori di Chicago che, come ha scritto il critico John Von Rhein sull’autorevole Tribune, «hanno suonato come Dei». Fra l’altro è da ricordare che i ben presenti ottoni della prima esecuzione al Conservatorio di Parigi, dove ancora si possono ammirare, erano «più aspri e pungenti». Volendo parafrasare Eugène Delacroix, profeta del romanticismo nell’arte visiva, anche Berlioz poteva dire: io sono un puro classico. Tale era il suo amore per Gluck, Spontini e Weber. Dice Riccardo Muti che la Symphonie fantastique si apre con una frase che esprime «linee limpide e nette, un insieme, appunto, di classicità e pudicizia». E così si spiega l’entusiasmo del vecchio compositore italiano Gaspare Spontini, prodigo di elogi, pur non essendo il Nostro di carattere facile ai complimenti verso i colleghi. Muti non avrebbe potuto avere debutto più festoso di quello tributatogli dal pubblico di Chicago giovedì scorso (il 19 settembre proclamato «Muti Day», standing ovation, lancio di fiori ecc.) che nel passato ha conosciuto grandi direttori stabili: uno fra tutti, il mitico Fritz Reiner, il cui sguardo ancora oggi fa soggezione.

In questo clima di grande ammirazione si inserisce l’attestato della Israel Philharmonic che in onore di Muti ha piantato 56 alberi nella sua piccola foresta fuori Gerusalemme. 56: tre volte 18, nella cabala ebraica significa vita lunga, lunga, lunga. Ci associamo.

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