da Salisburgo
Chiamata tutta in palcoscenico, allegra, fiera, quasi disordinata, lorchestra Cherubini, di ragazzi italiani, ha ricevuto gli applausi calorosi del pubblico che gremiva la Haus für Mozart. Costruita e guidata da Riccardo Muti, si era affermata in Italia; ma molti con il sopracciglio da intenditore commentavano: «Sì? Vorrei vedere a Salisburgo, come laccoglierebbero». Bene, ora labbiamo visto. È una compagine giovanile che può suonare in modo straordinario le giuste partiture in cui venga bene preparata, siano, come altre volte, la Quarta Sinfonia di Schubert o, come qui, Il ritorno di don Calandrino di Domenico Cimarosa.
Questa di Calandrino era unopera sconosciuta, come ancora molte oggi di questautore settecentesco, schiettamente napoletano, operista serio e buffo richiesto da tutte le corti dEuropa, la cui arte sintreccia con la vita di Mozart, prima contribuendo a suggerirgli certo sentimento melodico del canto, poi assorbendo da lui quanto poteva di civiltà sinfonica. Scritta nel 1778 per il Teatro Valle di Roma, prescelta per aprire il primo dei tre festival di Pentecoste che nella mitica Salisburgo Muti dedica a Napoli e alla sua grande tradizione, è stata diretta da lui con un misto catturante di sapienza, vivacità, eloquenza e affetto.
La trama è, oggi si direbbe, di serie: attesa e arrivo dun personaggio, sogni e baruffe damore fra donne, sfoggio di cultura con papere paradossali intraducibili, predisposte alla brava dal librettista Petro Sellini. Parti da cantare apparentemente facili, ma di spericolato impegno, a partire da quella del protagonista, tenorello incantato che però a tratti deve sfogare le passioni arrampicato nelle zone alte della sua tessitura, come ha fatto Juan Francisco Gatell, ogni volta più emozionante e sicuro, e qui dotato più degli altri di felice dizione, e assai bravo anche nel recitare. Degli altri giovani, Marco Vinco si è imposto come sempre per la presenza autorevole e qui per una certa spassosa camminata che ha tenuto il pubblico in allegria. Con loro hanno cantato normalmente Leonardo Caimi e, non senza qualche squittio, Laura Giordano e Monica Tarone.
La storia non ci è arrivata, e mi dispiace soprattutto per le oasi di solitudine e di malinconie perdute, perché il regista Ruggero Cappuccio ha preferito realizzare uno spettacolo effettistico, dove tutto larmamentario scenico dellepoca, e la recitazione stessa sono stati mostrati in funzione di continue gag, in un mondo rivissuto dallo scenografo Sanchi col gusto del Novecento figurativo italiano astratto e dal costumista Poggioli col piacere di reinventare liberamente antiche fantasie.
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