Muti racconta alla Cherubini un Beethoven da maestro

Lezione, prove e aneddoti nella «Prova d’orchestra» sulla Quinta sinfonia

Alberto Cantù

da Ravenna

Prendete un’orchestra giovanile e fatene il cuore di un festival. Prendete l’Orchestra giovanile Cherubini - ottanta elementi tutti al di sotto dei 30 anni, tutti italiani, tutti diplomati in Conservatorio - i quali compiono il loro tirocinio triennale, dalle aule scolastiche all’attività professionistica, iniziando con una cura d’urto: la full immersion nella programmazione del Ravenna Festival 2005.
Fosse un’orchestra di professionisti che cento volte hanno «passato» queste partiture, sarebbe un impegno quantitativamente cospicuo ma abbordabile. Loro invece affrontano tutti i lavori per la prima volta. Il loro concerto-battesimo risale a tre settimane fa - a Piacenza - con Riccardo Muti, gran padre di un’orchestra da lui fortissimamente voluta: l’Incompiuta di Schubert e la Quinta sinfonia di Beethoven, due brani che porteranno nella loro prima trasferta estera a Malta.
La Quinta di Beethoven non la «toccavano» dal 5 giugno. L’hanno ripresa lunedì a Ravenna, al Teatro Alighieri: «Prova d’orchestra di Riccardo Muti», vale a dire una «lezione» con cui il direttore riesce a coinvolgere il pubblico, in genere non alfabetizzato musicalmente, e dove quegli ottanta ragazzi li vede pendere dalle labbra del loro Virgilio. Che riporta aneddoti (quel montanaro piemontese il quale credeva che Beethoven avesse inventato la musica: tanta la fama beethoveniana a tutti i livelli). Che cita una lettera dove il Maestro di Bonn dice peste e corna dell’ambiente viennese con un’«orchestra sgangherata e da mal di mare» e di Salieri - al solito - il quale lo avrebbe odiato. Che parla di «lotta fra il musicista e la materia, di Beethoven il quale dopo la lezione somma di Haydn e Mozart, rompe i canoni del Settecento». Di un episodio famosissimo - il segnale ritmico ta-ta-ta-tàaa nella bocca di tutti - che è un attacco fra i più difficili per orchestra e bacchette e con cui l’autore «costruisce, da grande architetto come Cherubini», l’intero componimento.
Muti invita anche, in una civiltà dell’immagine come la nostra, a rifiutare ogni programma descrittivo «cucito» sopra la sinfonia che è invece «pura espressione dello spirito», senza «destino che bussa alla porta» o strumentalizzazioni al caso politiche (una rivista musicale tedesca del ’34 dove la Quinta viene disegnata come manifesto del nazionalsocialismo).
Lezione, prove, intervallo, esecuzione. Con un’orchestra tutta italiana, Muti imposta una lettura all’italiana ossia senza pesantezze teutoniche, incalzante e scatenata nello sviluppo del primo Allegro, divisa fra nitidezza del canto e nerbo serrato, di un’energia senza retorica, di una chiarezza e asciuttezza assolute.
Gli archi, ancora un po’ timidi, specie i violini, trovano momenti di eccellenza.

Legni e ottoni rispondono con grande duttilità, le percussioni sono in ordine. In tutti c’è la voglia di capire, di crescere, di fare meglio. In fondo hanno solo 20 anni e una manciata di concerti. Il futuro è loro e gli applausi interminabili, implicitamente, lo riconoscono.

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