Milano - Ci sono cose che è inutile negare. Riccardo Muti fa parte di Milano come il panettone, l’Ambrogino e il 7 dicembre alla Scala. Alla presentazione della stagione 2009/2010 del teatro lirico, lui non c’è, ma come sempre non manca chi vorrebbe rivederlo prima possibile. Torna Claudio Abbado nel giugno 2010 con l’Ottava di Mahler. Ma Letizia Moratti, presidente della Fondazione, non fa in tempo ad annunciarlo che subito le chiedono: e Muti? Rapporto contrastato ma profondo, quello tra l’esigente direttore d’orchestra e il suo (ex) teatro. Il sindaco spalanca le braccia e stende tappeti rossi: «Il maestro Muti ci faccia sapere che cosa desidera per tornare alla Scala». Archiviati i fatti del 2005, quando i conflitti nel teatro portarono all’addio di Riccardo Muti.
Abbado per dirigere ha chiesto di piantare novantamila alberi nel centro di Milano, gliene hanno promessi cinquecentomila e ha accettato con allegria. Faziosità da ultrà a parte, il desiderio generale è vederli tutti e due sul podio i duellanti dell’opera italiana. La Moratti insiste nel fare gli onori di casa: «Mi auguro di tutto cuore che anche il maestro Muti possa tornare. Ho un ricordo personale di collaborazione, quando era direttore musicale della Scala e io ero presidente della Rai, abbiamo lavorato insieme per il concerto di Natale. Quindi davvero questo è un augurio mio personale». Era il 1996 e l’apertura delle trattative tra la Rai e la Scala per trasmettere in mondovisione il concerto natalizio è stata una delle ultime iniziative della Moratti in Rai. Conclusione: «Per me sarebbe un grande onore e un privilegio poter pensare al suo ritorno. Sarebbe bello sapere che cosa chiede».
Meno sentimentale il sovrintendente. È passato all’azione e, da impresario, tiene alte le quotazioni del teatro e stretti i cordoni della borsa. Stéphane Lissner ha scritto una lettera a Riccardo Muti nel marzo scorso, in cui gli chiede di partecipare all’Anno Verdiano del 2013 con il progetto che vorrà. Adesso recita dal palco il lungo elenco di nomi illustri che dirigeranno alla Scala, in ordine rigorosamente alfabetico. Abbado e poi Daniel Barenboim, Pierre Boulez, Myung-Whun Chung, Gustavo Dudamel, Daniele Gatti, Daniel Harding, Zubin Mehta, Antonio Pappano, Esa-Pekka Salonen, «ci saranno tutti».
Nemmeno Lissner però sfugge alla domanda: e Muti? Il sovrintendente ironizza: «Forse non ha ricevuto la lettera, sarà colpa delle poste italiane». Muti, che dal 2010 sarà direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra, è corteggiato anche dal sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, che sogna di averlo come stella per rilanciare l’Opera di Roma. Finora il Maestro si è tenuto sul vago. La Scala è un palcoscenico ben più prestigioso, soprattutto se - come tutto lascia pensare - diventerà teatro nazionale. Un onore riservato solo al Piermarini per l’opera e al Santa Cecilia per i concerti. Con conseguenze pratiche sui bilanci e gli ingaggi, perché così la Scala dipenderà direttamente dallo Stato, godrà di maggiore autonomia (anche nei contratti) e sarà sottratta allo stillicidio periodico dell’attribuzione dei fondi del Fus. Quest’anno si parla di sette milioni di euro in meno, quasi il 20 per cento di tagli rispetto ai 35 del 2008. Ma è probabile che il governo trovi una soluzione a breve.
È ottimista Bruno Ermolli, vicepresidente della Fondazione, in costante contatto con il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. Ermolli attende a breve la riforma delle fondazioni liriche che darà lo status di teatro nazionale alla Scala, accompagnata dal necessario sostegno finanziario: «Il ministro mi ha promesso che ci saranno le condizioni per colmare il divario. Se così fosse sarebbe un sollievo, ma se davvero ci fossero i tagli sarebbe gravissimo togliere un titolo durante la stagione».
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